A che serve essere i primi della classe quando il mondo è in fiamme? Quando il rischio di una guerra tra le principali potenze del pianeta, Stati Uniti e Cina, raramente è stato così alto? Quando ci sono crisi, conflitti, terremoti politici che vanno avanti da anni senza che nessuno riesca a risolverli? Probabilmente a rispondere alla sempre più nutrita schiera di intellettuali che, da ormai almeno un decennio abbondante, è tornata alla ribalta nell'accusare l'Occidente di ogni male. L'ultimo volume di Federico Rampini, Grazie, Occidente! (Mondadori), sembrerebbe proprio avere questo scopo: rispedire al mittente le spesso eccessive critiche rifilate al “nostro mondo”. Il giornalista del Corriere della Sera effettua un viaggio nella storia contemporanea con una missione: confutare la visione pregiudizievole di chi si diletta a martoriare l'Occidente. Un Occidente che sì, nel passato più o meno recente ha commesso diversi errori (e orrori), ma che alla fine ha fatto più bene che male. È ingiusto, fa notare l'autore, che nelle scuole di oggi non si insegni più la storia vera del progresso, “che è nato a casa nostra e dove ha avuto un ruolo anche l’Italia”. Al contrario, prosegue Rampini, nelle piazze e nella cultura contemporanea l'Occidente deve affrontare un processo permanente. Mentre cinesi, indiani, brasiliani, africani - insomma: miliardi e miliardi di persone – non dovrebbero fare altro che ringraziarci.
Queste sono le tesi di fondo di un libro che ricorda ai lettori come la scienza occidentale – dalla medicina all'agronomia – sia stata copiata e applicata dal resto dell'umanità con enormi benefici; come il progresso esportato dall'Occidente – sotto forma di istruzione, cure, sviluppi tecnologici – abbia fatto crollare la mortalità infantile e incrementato la longevità; e come, nella lotta per migliorare i diritti umani, il paradigma da emulare sia sempre e solo l'Occidente. C'è poi il discorso economico, dove la sfida per ottenere un'economia più sostenibile e per decarbonizzare l'ambiente sarà vinta grazie alla ricerca scientifica e all'innovazione tecnologica – indovinate un po'? - dell'Occidente. E dunque: grazie, Occidente!, con il punto esclamativo come nel titolo del libro di Rampini. Che però si rende conto di un fatto: “Se usassi queste due parole in un'università americana sarei cacciato”. Non solo: il giornalista spiega che “l'idea stessa di progresso è disprezzata”, che “siamo sottoposti a un lavaggio del cervello quotidiano per inculcare la certezza che l’Apocalisse è dietro l’angolo” e che di questo sia solo ed esclusivamente colpa nostra. Rampini, insomma, intende contrastare la retorica anti occcidentale del mondo fornendo una contrapposta difesa occidentale, in modo tale da riportare la discussione pubblica su un moderato equilibrio.
L'intenzione dell'autore è senza dubbio nobile ma l'intero volume pecca di un difetto originario: poggia le sue fondamenta su una sorta di “noi”, inteso come Occidente, contro gli “altri”, ovvero il resto del mondo. Forse, azzardiamo, è proprio questa retorica inconsciamente insita nei meandri del blocco occidentale e della sua intellighenzia a creare, alimentare, inasprire conflitti culturali tra due universi – il nostro e il loro – che invece dovrebbero collaborare. La guerra in Ucraina, per esempio, è un affare che riguarda l'Occidente, così come le crisi che scuotono il Medio Oriente sono figlie di errate letture occidentali. E gli Stati Uniti, che per gli occidentali più accaniti dovrebbero fungere da fari nell'ombra, cosa hanno offerto al pianeta negli ultimi decenni? Ben poco in termini di cooperazione tra popoli. Anzi: l'ultimo regalo made in Usa coincide con Donald Trump, prodotto interamente occidentale che potrebbe presto tornare alla Casa Bianca nel caso in cui dovesse vincere le elezioni presidenziali contro Kamala Harris. “Grazie anche di questo, caro Occidente”, potrebbero rispondere gli “altri”...