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Abolizione dei finanziamenti pubblici al cinema, la polemica: “Il problema non sono i soldi dello Stato, ma che vengono dati a pioggia senza una selezione”

  • di Giulia Ciriaci Giulia Ciriaci

24 dicembre 2022

Abolizione dei finanziamenti pubblici al cinema, la polemica: “Il problema non sono i soldi dello Stato, ma che vengono dati a pioggia senza una selezione”
Interruzione dei finanziamenti pubblici al cinema o no, è questo il problema. Dopo la proposta del regista Michele Diomà, che vede nella chiusura dei rubinetti da parte dello Stato la possibilità che il cinema Made in Italy riacquisti la sua vecchia gloria, abbiamo raccolto il commento del giornalista Pier Paolo Mocci, che viaggia su una posizione diametralmente opposta: “Abolire i finanziamenti pubblici al cinema é impossibile e sbagliato. Non vanno dati soldi a pioggia, la selezione deve essere molto più stringente e severa. Poi non è che si debba fare cinema per forza. Si può anche andare a lavorare nella vita”

di Giulia Ciriaci Giulia Ciriaci

Il regista Michele Diomà ha avanzato su MOW una proposta per tentare di far tornare il cinema italiano, diventato ormai una macchina di clientele, assistenzialismo e auto-censura, al tempo della sua gloriosa industria che il mondo intero ci invidiava. Una proposta che si basa sull’interruzione immediata dei finanziamenti pubblici, dal momento che sono impostati in modo da impedire al filmmaker di turno di sperimentare la propria arte, senza la libertà di trovare la forma espressiva che più sente sua. In sostanza una chiusura rapida e, difficilmente, indolore dei rubinetti. Abbiamo posto la questione al giornalista Pier Paolo Mocci, curatore editoriale del mensile Fortune Entertainment, che si è detto completamente in disaccordo con la proposta del regista: "Abolire i finanziamenti pubblici al cinema é impossibile e anche sbagliato, perché cinema é anche arte, sperimentazione ed espressione di un linguaggio culturale che lo Stato può utilizzare anche per farsi pubblicità. Ad esempio attraverso le Film Commission regionali ci sono interi territori sconosciuti che proprio grazie al cinema diventano mete di turismo, oltre a diventare incubatori capaci di generare lavoro locale”. Luoghi di cui magari prima si ignorava perfino l’esistenza, ma che dopo il passaggio sul piccolo e grande schermo si trasformano in una meta di pellegrinaggio mediatico e, smartphone alla mano, tutti pronti a catturare un selfie da condividere sui social. In fondo, ormai, tutto si riduce a questo, mettere in bella mostra il proprio vissuto quotidiano, e dei luoghi evocativi legati al cinema magari non importa più nemmeno tanto.

Marcello Mastroianni in “La dolce vita”
Marcello Mastroianni in “La dolce vita”

Mocci sottolinea che il problema non sta nel finanziamento in sé, ma nel modo in cui i soldi vengono distribuiti ai vari progetti. A chi tanto, a chi poco, a chi sempre e a chi mai. Una totale mancanza di equità, che in fin dei conti non sorprende nemmeno più: “Non vanno dati soldi a pioggia, la selezione deve essere molto più stringente e severa. Anche perché il mercato è più piccolo e non servono 300 film italiani l'anno per la sala. Non é vero che vengono finanziati sempre gli stessi. Piuttosto ne vengono finanziati troppi, anche chi non ne avrebbe bisogno, o perché autore affermato, o perché tra i coproduttori c'è una piattaforma che soldi ne ha. Sicuramente chi prende i soldi dallo Stato deve rimanere in sala e non fare un passaggio tecnico di pochi giorni. In ultimo bisogna che il finanziamento non sia solo ‘a perdere’. La produzione o il regista che prende il contributo, se ha uno storico negativo, evidentemente non arriva ad un pubblico”. Prendere consapevolezza dei propri limiti e capacità, ed è proprio su questo che Mocci invita i lavoratori del settore: “Non è che si debba continuare a fare cinema per forza. Si può anche andare a lavorare nella vita". Non sia mai.

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Roberto Benigni e Massimo Troisi in “Non ci resta che piangere”

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