La televisione, con i suoi "processi in studio", si starebbe trasformando in un "tribunale parallelo"? Aldo Grasso ha fatto una riflessione su questo tema nel suo ultimo A fil di rete sul Corriere della Sera. Per farlo, è partito spiegando di cedere ("ogni tanto") alla tentazione di scrivere una critica costruttiva e lo ha fatto citando Giorgio Manganelli: "Gesto miserabile, irresponsabile, ritaglio di chiacchiera, gomitolo di inutili aggettivi, di frivoli avverbi, di risibili sentenze". Aldo Grasso ha raccontato, nel suo articolo, di aver seguito Quarto grado, programma di cronaca nera condotto da Gianluigi Nuzzi su Retequattro, quando "si è accesa una piccola discussione sul delitto di Garlasco". In studio, a parlare di uno dei casi più noti e di maggiore interesse in questi giorni, il generale Luciano Garofano, che è "perito di parte". "Trovo esecrabile che nella ricostruzione dei processi televisivi partecipino avvocati, consulenti, periti, criminologi o sedicenti tali, se sono di parte" ha scritto Grasso. E ha spiegato di aver già espresso diverse volte le sue ragioni: "in questo modo si vuole condizionare il tribunale". E ha continuato: "Retequattro è una rete commerciale, quindi sta allo stile del conduttore (lasciamo perdere parole roboanti come 'coscienza' o 'deontologia') fare le sue scelte".

Aldo Grasso ha poi spiegato che è diverso il discorso per la Rai, essendo un servizio pubblico. E ha fatto un appello all'Ad Giampaolo Rossi e al Dg Roberto Sergio che immagina "sensibili a questi temi" affinché nei programmi di cronaca nera "non vengano istruiti dei contro-processi con le parti in causa". E ha fatto riferimento, in particolare, a Ore 14 di Milo Infante e altri programmi simili. Aldo Grasso ha poi spiegato che giornalisti e conduttori hanno il diritto di indagare, provando a ricostruire i casi e "persino di contestare le sentenze", ma ha anche sottolineato che "l'invito in studio è qualcosa che trascende il diritto di cronaca". Il motivo? Grasso ha evidenziato come il giornalista debba prendersi la responsabilità di ciò che dice e mostra ma "non è un giudice che in uno studio televisivo rifà il processo secondo il linguaggio e le regole del mezzo".
