Alessandro Borghi è il protagonista dell’ultimo film di Gianni Amelio, una pellicola sulla guerra ora a Venezia per uno dei festival più importanti al mondo. Si intitola Campo di battaglia è ambientato durante la Prima guerra mondiale e Borghi interpreta Stefano, uno dei due protagonisti, ufficiali medici sul campo di battaglia, ma stanchi del conflitto e delle continue morti. Intervistato dal Corriere della sera insieme al regista, Borghi si è trovato a dover rispondere a una domanda provocatoria che, in un modo o nell’altro, supera i confini del film e si riversa nell’attualità. In particolare il giornalista chiede a Borghi cosa pensa di questo cambiamento nel linguaggio istituzionale che riporta al centro il concetto di Patria e il nazionalismo. Dalle prime prove di esame di questi ultimi due anni, da L’idea di nazione di Chabod al fascismo di Pirandello e Ungaretti, fino al tavolo delle trattative al Parlamento europeo, dove Giorgia Meloni spera ancora in un posto d’onore nella gestione dell’immigrazione, passando per Matteo Salvini che, commentando la notizia della confessione dell’assassino di Sharon Verzeni, l’italiano di origine africana Moussa Sangare, torna a parlare dei problemi della falsa integrazione. Il concetto di nazione stesso è centrale in tutta la retorica conservatrice della premier e lo stesso ministro dell’istruzione e del merito Giuseppe Valditara avrebbe voluto dare un ruolo centrale nel nuovo programma di insegnamento di educazione civica proprio al concetto di Patria.
E inevitabilmente la risposta di Borghi si estende a tutta l’area del dibattito, ben oltre il Festival di Venezia. “Io non sono un nazionalista, non sono per la patria, non sono un italiano convinto, non sono un italiano orgoglioso. Mio figlio si chiama Haima perché vuol dire nel mondo e a casa allo stesso tempo. Quindi il mio augurio è sempre stato quello di sentirmi a casa ovunque io sia. È l'augurio che faccio a mio figlio e a quello che spero per il futuro”. Per Borghi la polarizzazione del dibattito si trasformerà in una vera e propria battaglia culturale fondamentale per la nostra società: “Attraversiamo un periodo storico che ci mette davanti ad un contesto politico contro il quale o a favore del quale possiamo esprimere dei pensieri però poi ognuno di noi deve lavorare sulla propria idea di libertà. Cosa vuol dire per noi essere liberi? Fa ridere che se tu metti in una stanza 50 persone, ci sarà sempre qualcuno che dira ‘per me la libertà è avere tutte le persone di un'altra etnia fuori da questo paese’. Per altri invece la libertà è averli tutti dentro il mio paese. Da questa cosa non ci salveremo mai. E in questo uso una parola che ha usato prima Amelio, ‘paradosso’: questa è, secondo me, la più grande guerra che andremo a combattere anche negli anni che verranno perché veniamo da un'educazione che è molto difficile scardinare dove dobbiamo dire: ‘Vabbè, ma prima...’” E a chi parla di invasione e di immigrati che vengono a casa nostra, cosa rispondere? “Quando sento ancora dire ‘Sì, ma questi vengono a casa nostra’ rispondo così: ‘Casa vostra’ è un indirizzo civico. Se vengono dentro casa avete ragione altrimenti “casa vostra” non è una nazione, non è un Paese. Quindi tutto quello che di brutto viene dal patriottismo è qualcosa che non mi interessa”.