Festa del papà in un’Italia che di papà non ne vuole e non ne avrà quasi più. Perché la paternità passa dai figli, che sono figli a loro volta, e nel nostro Paese di figli se ne fanno sempre di meno. I numeri critici del 2022 sono migliori dei numeri drammatici del 2023. E così via anche nei prossimi anni. Su Il Foglio di lunedì 19 marzo, la traduzione di un pezzo dello storico Niall Ferguson che spiegava bene il punto: la prossima bomba demografica sarà il crollo delle nascite nei Paesi in via di sviluppo, non il contrario. I recenti sondaggi li abbiamo già mostrati, in Italia sempre meno gente è interessata a fare figli, non tanto per motivi di natura economica ma per completo disinteresse. Cosa significa essere padri? Per alcuni significa faticare, e la fatica è nemica degli amici di questo tempo. Faticare costa e in una società che non è più in grado di concepire “l’investimento personale” come una virtù (tutto dovrebbe esserci dato per diritto o risarcimento dei soprusi subiti in un passato remoto) resta solo una cosa da fare: evitare le fatiche e non scommettere mai. E se fosse un falso mito? In un libro godibilissimo dell’economista Bryan Caplan si sostiene esattamente il contrario, ovvero che crescere dei figli sia una passeggiata. Si chiama Selfish reason to have more kids e il punto è che ci sono molte ragioni personali per volere dei bambini; mentre qualche statistica allarmistica fa emergere il malcontento diffuso di giovani coppie quella che potrebbe essere considerata la “felicità tutto considerato”, o “felicità nel complesso” è valutata dai genitori come maggiore dopo aver avuto dei figli. Sembra contrintuitivo? In realtà no. Quasi qualsiasi cosa, tranne le malattie, nella nostra vita dà più soddisfazione se l'abbiamo una disponibilità maggiore. Che il poco dia valore è una tesi elegante e virtuosa ma irrealistica. Avere una dispensa piena, un conto in banca pieno, una vita piena di interessi e così via ci farà vivere con più sicurezza e serenità.
In effetti fare figli comporta non solo un aumento del capitale personale della propria famiglia, qualcuno in più da amare e amore in più (e gioie in più, dolori in più; anch’essi comunque importanti e parte di una vita per com’è comunemente intesa), ma aumenta anche le alternative disponibili nel tuo mazzo. E avere più carte da giocare significa quasi sempre giocare meglio (o giocare più a lungo). Ci sono svariati motivi per voler avere dei figli. Per esempio che più gente significa più creatività, più immaginazione, più Einstein, più Van Gogh, più Robert Downey Jr. E che l’innovazione è il motore reale di una società che progredisce, vive più a lungo, vive meglio e così via. Un altro motivo è questo: i figli sono una buona ricerca sul campo per migliorare il proprio rapporto con il mondo e, quindi, se stessi. Quindi fa bene alla società e fa bene a se stessi. Ma fa bene ai figli? C’è chi sostiene che sarebbe meglio non mettere al mondo altre persone e c’è chi desidera presto l’estinzione umana, più un peso che un dono per la natura. Ma i dati sembrano dirci quanto abbiano torto i nichilisti e pessimisti pro-estinzione: tanto. Dalla Seconda rivoluzione industriale a oggi, fare figli non è più un vero problema, se non per delle società chiuse e tendenzialmente poco democratiche e libere. È il caso della Cina della politica del figlio unico. In qualsiasi società in salute, invece, fare figli è solo un indicatore di successo e una cosa buona. È un ricambio generazionale necessario, un’evoluzione sotto molti aspetti, spesso anche morali (i giovani possono riuscire a ripulire la tradizione da qualcosa che non torna; possono anche metterla in pericolo, ma il rischio è accettabile). Oggi si vive meglio rispetto a cento anni fa. E ci sono più persone in giro per il mondo. Festa del papà, quindi, non festa della fine della paternità e della procreazione. Mentre ci avviciniamo alla soglia pervista per la fine del secolo (circa dieci miliardi) dovremmo chiederci quanti siano i pregiudizi antiprocreativi che hanno attecchito.