“Il 51% delle persone tra i 20 e i 40 anni non è interessato a diventare genitore mentre un ulteriore 28% un figlio lo vorrebbe ma prevede che non sarà possibile”. Lo riporta il Corriere della Sera, citando il rapporto Coop 2023. Questo dice molto sia delle politiche a favore delle nascite in Italia (più o meno di facciata e propaganda) sia dei sentimenti diffusi tra le persone nella fascia di età (estesa vent’anni) migliore per creare una famiglia. Questi sentimenti, come spesso accade, sono peggiori dei fallimenti della politica. Commentando questa notizia, amici, conoscenti, filosofi (docenti universitari) e intellettuali hanno espresso in modo diverso lo stesso tipo di pessimismo nei confronti del mondo e la stessa sfiducia nei confronti dell’idea di una famiglia tradizionale, intesa non tanto come una famiglia eterogenitoriale ma come un nucleo in cui siano presenti, oltre ai due compagni, dei bambini. La cosa che frena di più le persone più intelligenti della mia bolla sembra essere “il mondo in cui viviamo; l’aria che quei bambini si troverebbero costretti a respirare, lo scioglimento dei ghiacciai eccetera”. Chi non si preoccupa tanto per il futuro dei bambini quanto per il futuro del pianeta, invece, sostiene che l’aumento della popolazione porterà al collasso totale dell’ecosistema. Un mito che, nonostante sia stato smentito in varie occasioni, non è mai stato messo in dubbio dagli ambientalisti radicali, che anzi si organizzano proprio per andare avanti nella loro crociata (e il caso del movimento inglese BirthStrike). In altre parole, l’attuale scenario climatico e gli scenari previsti per il futuro non depongono a favore della natalità; in aggiunta, l’aumento della popolazione non può, si ripete, che peggiorare ulteriormente questi scenari già critici.
Spiegare perché la gente si sia convinta di tutto questo richiederebbe più di un articolo ma alcuni elementi sono innegabili e si manifestano con così tanta chiarezza da essere facilmente elencabili. Il primo di questi lo troviamo in frasi del genere: “Fare un figlio oggi è puro egoismo. In questo mondo senza futuro”. Tuttavia è chiaro sotto qualsiasi punto di vista che il mondo abbia ancora futuro. È la speranza, semmai, a non trovare molte adesioni. La convinzione che non ci sia rimasto alcun futuro è una forma di allarmismo spesso cavalcata senza reali motivazioni. Alcuni filosofi profondamente nichilisti (senza speranza) basano le loro convinzioni su una strana forma di misantropia mascherata da deduzione logica e citano studi e ricerche scientifiche che dovrebbero convincerci ad accettare l’estinzione. L’esempio più articolato e voluminoso lo ha fornito, in anni recenti, Émile P Torres con il libro Human Extinction (Taylor & Francis, 2023). Secondo Torres, filosofo che si definisce non binario, l’estinzione umana sarebbe una preoccupazione solo per i privilegiati, tendenzialmente uomini bianchi e ricchi. Le sue tesi sono molto suggestive ma scarsamente convincenti: non è chiaro per quale motivo la povertà globale o altre forme di “ingiustizia sociale” che preoccupano i poveri non dovrebbero essere ricondotte, banalmente, alla paura dell’estinzione. Ciò che fa paura della povertà globale o delle carestie nei Paesi in via di sviluppo non è forse la morte in massa di persone che preferirebbero vivere? Se così non fosse, la povertà globale e le ingiustizie sociali non verrebbero considerate un problema.
Nonostante le idee dei filosofi nichilisti siano intrinsecamente contraddittorie e deboli, i sostenitori della denatalità o dell’estinzione sostengono che la scienza abbia dato loro ragione in vari modi. Tuttavia, chi sostiene che non sia giusto mettere al mondo figli se l’ecosistema sta collassando, dovrebbe leggere più attentamente anche il rapporto dell’Ipcc nel 2023, che indica il peggiore degli scenari immaginati, nel 2013 considerato il più probabile, come spiega Roger Piekle Jr., ora scarsamente probabile. In generale, gli scenari più estremi sono spesso citati ma risultano tutti poco o non molto probabili. Chi ha paura di gettare dei figli nel mondo futuro dovrebbe forse ricredersi: il mondo a venire e il mondo di oggi sono incredibilmente progrediti e continueranno a progredire sotto quasi ogni punto di vista: dalla povertà ai diritti alla creatività e all’impresa scientifica. Questo significa anche nuove soluzioni e un futuro che non è del tutto perduto. Nel corso del tempo sempre più persone hanno raccolto dati per dimostrarlo, dallo scienziato cognitivo di Harvard Steven Pinker, con il suo Illuminismo adesso, al medico e statistico (e fondatore di Medici Senza Frontiere in Svezia) Hans Rosling, con Factfulness, passando per lo psicologo evoluzionista (e tra i maggiori divulgatori al mondo) Matt Ridley, con il suo Un ottimista razionale, fino al recentissimo – e ancora da tradurre – Not the End of the World di Hannah Ritchie, responsabile della ricerca per Our World in Data.
Chi invece crede, come scritto all’inizio, che il problema non sia il mondo come sarà, ma il mondo come potrebbe essere per via della sovrappopolazione, può provare a leggere questa storia, ormai un classico (dimenticato) del debunking scientifico contro i catastrofisti, il cui atteggiamento radicale continua ad andare avanti senza apparenti motivi. Come raccontato in modo chiarissimo dallo studioso libertario Guglielmo Piombini, le teorie malthusiane contro la crescita della popolazione (che avrebbero portato inevitabilmente al collasso) alimentarono una sorta di vera e propria isteria collettiva dell'intellighenzia tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, soprattutto per colpa del biologo americano Paul Ehrlich, che ne l 1968 pubblicò The Population Bomb, uno dei libri più disfattisti della storia contemporanea delle idee. Un libro che faceva il paio con il Rapporto sui limiti dello sviluppo del Club di Roma, uscito nel 1972. In entrambi casi si prevedeva un collasso dovuto alla sovrappopolazione e all’esaurimento delle risorse. Chiaramente la soluzione proposta da Ehrlich non poteva che guardare a un intervento statale massiccio e di aspirazione totalitaria. Scriveva infatti: “Queste misure [per evitare la catastrofe, ndr] devono essere coordinate da una potente agenzia statale. Bisogna istituire un Ufficio Federale per la Popolazione e l’Ambiente che determini la popolazione ottimale degli Stati Uniti ed escogiti misure per attuarla. […] L’operazione richiederà molte decisioni apparentemente brutali e senza cuore. Si tratta di coercizione? Forse, ma coercizione per una buona causa”.
Tuttavia la scienza vive anche grazie ad autentici outsider, uomini coraggiosi ed eccentrici, in grado non solo di mettere in dubbio l’opinione diffusa su un tema, ma anche di escogitare il modo migliore per sbarazzarsi definitivamente di una tesi falsa. Come vedremo, purtroppo, nonostante la totale semplicità del piano, in realtà la tesi sconfitta continuerà – e continua oggi – a essere di moda. L’economista Julian Simon era uno di questi outsider. Nel 1981 pubblicherà il seminale The Ultima Resource, a cui seguirà quindici anni dopo una versione aggiornata che confermava sostanzialmente la tesi del saggio di oltre settecento pagine: la crescita della popolazione non è un male, non porta a un esaurimento delle risorse e non comporterà il collasso. Non servono politiche stataliste contro le nascite (tra cui l’aumento delle tasse su pannolini e altri prodotti per i neonati), ma un’economia libera in grado di inventare e crescere. In questo senso, l’aumento della popolazione non può che essere un bene poiché “Il più importante effetto economico della dimensione della popolazione è il contributo che un maggior numero di persone dà al nostro stock di conoscenze utili”. Per dimostrare al grande pubblico questa tesi Simon scommetterà mille dollari proprio con il suo avversario più potente Ehrlich. La scommessa consisteva nel vedere se, a distanza di dieci anni, i prezzi di cinque prodotti scelti del biologo catastrofista sarebbero aumentati, dimostrando una maggiore scarsità di quei prodotti e quindi l’effetto negativo dell’aumento della popolazione. Purtroppo, nel 1990, quando si ritrovarono a fare i conti con i fatti, i prezzi erano invece calati e Ehrlich fu costretto a pagare.
Se questo non è ancora sufficiente – e in effetti non lo è stato, stando alle paure delle nuove generazioni e a questo nuovo mostro, l’ecoansia – potremmo affidarci a qualche studio più recente e colmare, così, i trent’anni di distanza tra la vittoria di Simon e i nostri timori. In uno studio pubblicato nel 2023 nella rivista Population and Environment con il titolo Has the world survived the population bomb? A 10-year update, David Lam, del Centro studi sulla popolazione dell’Università del Michigan, dimostra qualcosa che dovrebbe rallegrarci: “Mentre il mondo aggiungeva un altro miliardo di persone tra il 2011 e il 2023, il mondo ha continuato a sperimentare progressi in aree importanti come la produzione alimentare pro capite e i tassi di povertà. […] Il periodo successivo al 2011 continua a supportare un quadro ottimistico sotto molti aspetti. La povertà ha continuato a diminuire, la produzione alimentare pro capite ha continuato ad aumentare e non abbiamo dovuto affrontare gravi carenze di risorse. Considerando che dal 1960 abbiamo aggiunto 5 miliardi di persone al mondo, questo deve essere visto come un importante successo globale”. Certo, il cambiamento climatico e altre difficoltà (come la produzione alimentare in alcune aree geografiche) non evidenziano un’evoluzione positiva, ma nulla che non possa essere compensato, overall, da tutte le evidenze positive raccolte.
In generale, la cosiddetta “trappola malthusiana”, che vede la crescita della popolazione come un problema per il benessere economico (il benessere economico, secondo questa teoria, porta a un aumento delle persone e questo, superata una data soglia, si traduce in carestia e insufficienza di cibo per una parte della popolazione in eccesso), è stata completamente superata dai fatti a partire dalla cosiddetta Rivoluzione industriale. Se Malthus aveva ragione a pensare che un aumento della popolazione non avrebbe portato benessere (e che dunque fosse meglio, come dicono i nostri amici impauriti, essere in meno per stare meglio) nel diciottesimo secolo e nei secoli precedenti, la grande trasformazione della società e il capitalismo del diciannovesimo secolo ruppero la trappola e dimostrarono che l’economia poteva crescere, che il benessere poteva aumentare (per esempio con salari più alti), anche se la popolazione continuava ad aumentare, in particolare grazie a uno sviluppo economico più rapido della crescita della popolazione. Cosa vuol dire? Che essere in meno non è necessariamente meglio. Anzi, come spiega Max Roser, il fondatore di Our World in Data e docente a Oxford, la stessa pandemia di Covid-19 ha dimostrato come la morte della popolazione non porta alcun beneficio a chi resta.
La volontà di non avere figli per paura della crisi climatica è dunque figlia di un pregiudizio antiscientifico o modellato più su un’interpretazione allarmistica dei dati che non su effettive valutazioni razionali. Se accanto a questa falsa convinzione si dà corda a filosofie nichiliste e ideologie mortifere che caldeggiano l’estinzione, fino al punto da considerare la difesa della vita come una battaglia da bianchi privilegiati, si capisce quanto il dato italiano, che rispecchia una tendenza almeno europea ma globale, debba preoccupare qualsiasi difensore dell'ottimismo verso il futuro. E, per esteso, della vita stessa.