Le ultime notizie sull’agenda economica del governo Meloni parlano dell’ipotesi di studio di azzerare le tasse alle famiglie con più di due figli, che il Ministero dell’Economia e delle Finanze di Giancarlo Giorgetti starebbe analizzando. Fermo restando che dalle strutture di Via XX Settembre, dopo l’indiscrezione de Il Foglio, non trapela nulla e che il “Bonus 110%” delle politiche famigliari è una riforma strutturale che andrebbe a incidere sull’intero sistema fiscale, è chiaro che l’esecutivo di centrodestra vuole dare una svolta sul fronte degli incentivi famigliari. Sviluppando in Italia una riforma onnicomprensiva che potrebbe rappresentare la prima, grande rivoluzione fiscale da diversi anni a questa parte. L’obiettivo? Favorire col welfare e la detassazione le famiglie più numerose, incentivare la natalità, risolvere il problema delle “culle vuote” che in prospettiva porta con sé possibili squilibri futuri per gli equilibri contabili. L’azzeramento di buona parte delle tasse sul reddito alle donne con più di due figli e la concessione di bonus fino a 10mila euro al termine degli studi, senza limiti di reddito, sarebbero parte del piano-choc del Mef. Che vuole iniziare una svolta graduale nella direzione che in Europa ha preso solo un Paese, l’Ungheria di Viktor Orban. In cui dal 2020 le donne con quattro o più figli hanno azzerate le tasse sul reddito. La differenza con Budapest è scritta nero su bianco nel Documento di Economia e Finanza che rappresenta la chiave per capire come da qui alla Legge di Bilancio, che con proposte così ampie sarebbe restituita alla dignità che le compete, possa evolvere la proposta. L’Ungheria fa della retorica anti-immigrazione la base della sua proposta. Il Def di Giorgetti scrive che nel breve periodo la soluzione fiscale ideale “non può che essere quello di aumentare il flusso di immigrati che arrivano e restano” e a cui tali bonus dovranno essere concessi in futuro. Dunque una questione di equilibrio slegata dai deliri sulla “sostituzione etnica” di Francesco Lollobrigida. Ma quello ungherese rappresenta l’unico modello possibile? No, chiaramente. E da qui alla Legge di Bilancio diversi sistemi possono influenzare la riforma strutturale di Giorgetti e del Mef. Ad oggi, il welfare basato sull’Assegno Unico per i figli è ispirato, per quanto in forma ridotta, al modello tedesco, che è però ben ramificato. La Germania mette a disposizione per le famiglie due tipi di assegno: il Kindergeld, innanzitutto. Questo è un contributo universale non legato a limiti di reddito che viene versate fino al diciottesimo anno d’età dei nascituri o ai venticinque per i figli di disoccupati o di studenti che garantisce un contributo di 219 euro per il primo figlio, 225 in caso di nascita del secondo e 250 dal terzo in su erogato mensilmente senza essere legato – come il nostro Assegno Unico – a requisiti di reddito.
C’è poi, in Germania, l’Elterngeld, che per i primi quattordici mesi dalla nascita di un bambino garantisce a qualsiasi genitore – padre o madre – una copertura del 65% della perdita di reddito dovuta alla decisione di ridurre la disponibilità lavorativa per motivi genitoriali. Una sorta di sostegno parentale che copre da un minimo di 300 a un massimo di 1.800 euro al mese. Ancora più strutturato il welfare francese. Parigi struttura l’Allocation Familiaire, una sorta di maxi-assegno che va da 140 euro per un figlio a 500 euro dai quattro in su erogato mensilmente e calcolato sul numero di figli sotto i vent’anni a carico. L’assegno base aumenta di 88 euro per ogni figlio tra i 14 e i 20 anni e viene erogato fino ai 25 anni per ogni figlio che studia. Questo si somma al bonus dato a ogni genitore, indipendentemente dal reddito, alla nascita del figlio (970 euro) e a un sistema di deduzioni che copre fino a 7mila euro l’anno di spese. In Germania la deduzione è pari a 3.624 euro per ogni figlio. In Italia siamo a 1.220 euro, per il figlio di età inferiore a tre anni. 950 euro, se il figlio ha un'età pari o superiore a tre anni. A cui si aggiunge un bonus asilo nido da 1.500 euro l’anno massimi, però non cumulabile con la possibilità di detrarre il 19% delle spese dell'asilo nido per ogni figlio, con un tetto di spesa massimo di 630 euro. In Danimarca l’incentivo agli asili nido è la principale forma di welfare famigliare: dal 70 al 100% del costo della retta, in un Paese ove uomini e donne hanno un tasso d’occupazione altissimo, è a seconda del reddito coperto dalle amministrazioni locali per ogni famiglia. Diversa la strategia della Spagna che punta sull’equiparazione di padre e madre sul fronte del congedo parentale. I padri hanno diritto a 16 settimane di esenzione dal lavoro dopo la nascita di ogni figlio, oltre dieci volte la quota italiana che è di soli 10 giorni lavorativi.
L’opzione di soluzioni a disposizione dei decisori è dunque ampia. Il problema delle “culle vuote”, lo ricordiamo, non è però unicamente una questione economica o di welfare generosi. Cambiano le attitudini di vita, le abitudini sociali, i desideri delle famiglie. Cambia la sicurezza economica a monte, che deve essere legata innanzitutto al mercato del lavoro e alla stabilità di dinamiche come quella del costo della vita. Cambia anche l’istruzione e l’ambizione personale dei giovani, che sempre più tardi fanno una famiglia. Il governo dovrà capire se il vero nodo sarà la lotta all’inverno demografico o la garanzia di una maggiore stabilità a chi decide di fare figli in nome del benessere sociale e dei nascituri. Sul primo fronte, è bene ricordare che Germania e Francia, i Paesi dal welfare famigliare più generoso, non hanno invertito il trend che ha portato i tassi di natalità sotto il 2, che rappresenta la soglia di sostituzione naturale della popolazione. La Germania era scesa a 1,33 figli per coppia nel 2006, ora è a 1,53. La Francia ha fermato il declino dagli 1,92 di trent’anni fa agli 1,83 figli per coppia oggi. L’Italia è a 1,23 figli per coppia. Lo stesso livello che aveva l’Ungheria prima dell’avvio delle riforme di Viktor Orban nello scorso decennio. Ora Budapest è a 1,56. Un incremento notevole ma che in larga parte precede la svolta del 2020 e può essere anche giustificato dalla maggiore stabilità economica dopo la devastazione post-comunista del Paese. Il livello di partenza dell’Italia è, chiaramente, molto diverso. E anche su questo si dovrà giudicare il welfare europeo per capire il miglior modello di riferimento.