“I Wa sono tra i popoli più diffamati dell’Asia, forse dell’intero pianeta. È sempre stato così”. È questo l’inizio del primo capitolo di Narcotopia, il reportage scritto dal giornalista d’inchiesta Patrick Winn (pubblicato in Italia da Adelphi e tradotto da Svevo D'Onofrio) che porta i lettori all’interno di una doppia crisi dimenticata, o per meglio dire, ignorata. Una crisi militare, visto che il Myanmar è un Paese pressoché fallito, falcidiato da una sorta di guerra civile tra la giunta militare al potere e i vari gruppi etnici che vivono al suo interno, ma anche una crisi che riguarda il traffico di droga. Dimenticatevi l’America Latina, Pablo Escobar, El Chapo Guzman e i narcotrafficanti di Netflix. Qui, nell’estremo nord del territorio birmano, a pochi passi dai confini con Thailandia e Cina, sorge uno Stato nello Stato (per alcuni un narcostato) la cui economia si fonda sull’eroina e sulla metanfetamina che i padroni di casa, gli Wa appunto – da decenni nel mirino della Dea e della Cia – producono ed esportano in tutto il globo. Sarebbe tuttavia riduttivo parlare di buoni e cattivi, perché i Wa sono una minoranza indigena che, perseguitata dalla giunta militare al potere in Myanmar, si avvale dell’unico mezzo a sua disposizione – il papavero da oppio – per conquistare ciò che agli oppressi del mondo è spesso negato: la dignità, una patria, un governo autonomo.
Dove vivono gli Wa? In un territorio di 31mila chilometri quadrati (una superficie simile a quella dei Paesi Bassi), lo Stato Wa, che ospita oltre mezzo milione di persone, “ha le sue scuole, la sua rete elettrica, i suoi inni e le sue bandiere”, scrive Winn. Un’autorità tribale chiamata Esercito dello Stato Unito dei Wa (United Wa State Army, o Uwsa) controlla quest’area che pure, almeno formalmente, dovrebbe rientrare nei confini del Myanmar. L’Uwsa è quindi un’organizzazione mafiosa a capo di una nazione fantoccio? Dipende dai punti di vista. Per gli Stati Uniti – i cui abitanti, probabilmente, faticherebbero anche a rintracciare il Myanmar su una cartina geografica – quello dei Wa rappresenta una cricca di boss e di signori della droga a capo di una pericolosa organizzazione criminale. Lo sapevate, per esempio, che l’esercito dello Stato Wa conta 30mila uomini e 20mila riservisti, e cioè più delle forze armate di nazioni come la Svezia o il Kenya? Oppure che gli stessi Wa sono equipaggiati con tecnologie avanzate – artiglieria, droni, missili terra-aria – così potenti da rendere i cartelli messicani delle semplici bande di quartiere? Il peccato originale dei Wa, si legge in Narcotopia, è che questa etnia ha “osato” liberarsi da sola nel modo sbagliato: producendo droga, spendendo i profitti in armi e sfidando gli stranieri a venire a prendersi le loro terre.
La città principale dello Stato Wa, Panghsang, nota anche come Pangkham, è una vetrina di prosperità nel bel mezzo di una regione bloccata nel sottosviluppo e nella povertà causati dai conflitti. È qui che, molto probabilmente, verrà deciso il futuro del Myanmar: una nazione che, da quando il colpo di stato militare del 2021 l'ha fatta sprofondare in una crisi senza precedenti e nella guerra civile, ha visto aumentare la produzione di metanfetamina ed eroina. L'Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (Unodc) ha affermato che i sequestri di metanfetamina hanno raggiunto la cifra record di 190 tonnellate nel 2023 in tutta l'Asia orientale e sudorientale. La vicenda dei Wa, dunque, prende forma tra una crisi (geo)politica - della quale nessuno parla - e un nuovo, "grande gioco" della droga mondiale. Già, perché i Wa dovranno pur vendere la loro mercanzia a qualcuno per ottenere le risorse necessarie a mantenere in piedi l'intero apparato statale. Qui si apre un mondo di connessioni, ragnatele, legami veri o presunti tra gang criminali asiatiche e signori della droga locali, narcotrafficanti internazionali e mafie globali. Impossibile rintracciare il flusso degli affari che dal remoto Myanmar si espande in gran parte del globo, anche se gli Usa non hanno dubbi sul materiale esportato: oppio, metanfetamine (yaba) e altre sostanze sintetiche. I prodotti partono da fabbriche locali dirette chissà dove, per essere consumate da giovani e disperati di chissà quale metropoli. Il primo step, di solito, coindice con la vendita delle droghe a faccendieri thailandesi e asiatici in anonime zone montuose o sul fiume Mekong. Dalla Thailandia la merce finisce dritta nel Triangolo d'Oro, l'area situata tra Myanmar, Laoes e Thailandia, e nel resto del continente. E poi oltre il continente. In Europa, attraverso la tortuosa rotta via terra lungo l’Asia centrale e i Balcani, oppure via mare, cirumnavigando l’Africa per poi approdare in Spagna e Regno Unito. E, per vie traverse e dopo altri passaggi tra gruppi criminali, forse anche negli Stati Uniti. Dove da tempo è esplosa la crisi del fentanyl, una droga letale in parte prodotta proprio con sostanze made in Asia.