Eravamo rimasti al Recep Tayyip Erdogan che si fregava le mani all'idea di essere il finanziatore militare numero uno dell'Europa. L'Ue a trazione sovranista, quella per intenderci che ha “radici cristiane” e che lotta contro tiranni e autocrati che mettono a repentaglio i suoi valori liberali e democratici, dopo aver approvato il nebuloso piano ReArm Europe (800 miliardi di euro da investire nella Difesa nei prossimi quattro anni), si è praticamente quasi auto consegnata nelle mani di un islamico: Erdogan, appunto. Il presidente turco, in passato definito “dittatore” da Mario Draghi e più volte accusato di fare pressioni sul continente sfruttando a proprio favore i flussi migratori, era – e resta ancora oggi - pronto a chiudere affari d'oro con Bruxelles vendendo le sue armi a un continente privo di un robusto settore della difesa. Il Sultano ha continuato a schiaffeggiare – moralmente si intende – i sovranisti della Nato dimostrando all'intero Occidente cosa significhi muoversi nello scacchiere geopolitico globale per fare, prima di ogni altra cosa, gli interessi del proprio Paese. La nostra stampa è molto scaz*ata con Erdogan, i nostri leader fanno finta che non esista, gli Stati Uniti sono irritati dal pragmatismo/doppiogiochista della Turchia. Vi siete chiesti il perché? Ma è molto semplice: il leader turco fa quello che vuole mettendo gli interessi di Ankara prima di qualsiasi altra causa cara all'Occidente.

Erdogan fa impazzire i capi di Stato europei – e pure Donald Trump – non solo perché, come detto, ragiona in termini di “Make Turkey Great Again”. Ma anche, e soprattutto, perché ha imparato a essere un camaleonte della diplomazia. La Turchia, del resto, fa parte della Nato, e anzi, è il membro dell'Alleanza Atlantica con l'esercito più forte dopo quello degli Stati Uniti. Allo stesso tempo, però, Ankara flirta con la Cina e con la Russia. Nel momento in cui scriviamo Erdogan ha ricevuto un'accoglienza imperiale, a Tianjin, proprio in Cina, dove era ospite del meeting dell'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (Sco), una piattaforma di cooperazione politica, economica e di sicurezza, e che comprende 10 Paesi membri - Cina, Russia, India, Pakistan, Iran, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan - coprendo circa il 40% della popolazione mondiale, oltre a osservatori e partner di dialogo. Ecco il punto focale: Erdogan dialoga con Vladimir Putin e Xi Jinping e, più in generale, con qualsiasi altro leader, governo o Paese che possa in qualche modo portare vantaggi o benefici alla “sua” Turchia. Poco importa al Sultano che la Nato sia teoricamente rivale, o peggio nemica, di molti dei presenti al vertice della Sco...

La ciliegina sulla torta? La Turchia ha chiuso i ponti con Israele per un motivo semplice: Gaza. Erdogan non perde occasione per cavalcare la causa palestinese e presentarsi come paladino del mondo musulmano contro lo Stato ebraico. Dopo il 7 ottobre, Ankara ha accusato Tel Aviv di “crimini di guerra” e ha sospeso rapporti economici e diplomatici con Tel Aviv. Non è solo ideologia: è calcolo geopolitico. Il Sultano sa che la rottura con Israele gli regala consensi interni, rafforza il suo asse con il mondo arabo e lo accredita come leader globale capace di sfidare l'Occidente. A proposito di “sfida all'Occidente”, la Turchia sta piantando radici e rafforzando i suoi rapporti in diverse regioni strategiche che interessano anche ai nostri leader: l'Africa (altro che Piano Mattei...), il Mediterraneo, il Medio Oriente e persino il Sud Est Asiatico. Con buona pace di Trump, Macron e gli altri membri della Nato. Che incontreranno il Sultano al prossimo meeting dell'Alleanza Atlantica...
