L'Europa si (ri)arma. Il Parlamento europeo ha approvato il piano ReArm Europe: 800 miliardi di euro da investire nella Difesa nei prossimi quattro anni, con l'intento di smarcarsi dai sempre più imprevedibili Stati Uniti di Donald Trump e di riorganizzarsi nel caso in cui la Russia di Vladimir Putin dovesse creare ulteriori problemi sul fronte orientale del continente. In attesa di capire concretamente da dove arriveranno tutti questi soldi, ma soprattutto chi produrrà armi all'avanguardia per una sorta di difesa comune europea (a proposito: chi la comanderà?), ci sono almeno tre considerazioni da fare. La prima è la più evidente. La decisione ha letteralmente spaccato i governi dei Paesi membri dell'Ue e persino un discreto numero di partiti. Sul fronte italiano, la Lega si è opposta al programma sponsorizzato da Ursula von der Leyen, mentre Fratelli d'Italia e Forza Italia non hanno mancato di esprimere il loro sostegno. Il Partito Democratico si è diviso: 11 eurodeputati si sono astenuti, 10 hanno votato a favore. Muro del Movimento 5 Stelle e di Alleanza Verdi-Sinistra. A seconda della prospettiva, un quadro del genere può sembrare un disastro organizzativo oppure un ottimo esercizio democratico. La realtà, però, è che le discussioni, le divisioni, i dubbi, le proteste e le barricate potrebbero continuare all'infinito senza ottenere effetti concreti. La sensazione, infatti, è che i “poteri forti” (leggi: i tecnocrati di Bruxelles) abbiano già deciso che l'Europa dovrà non solo armarsi, ma, se necessario, anche scendere in campo. Con buona pace di Giorgia Meloni, Matteo Salvini e Elly Schlein.

Arriviamo così di fronte al paradosso dei paradossi. L'Ue a trazione sovranista, quella per intenderci che ha “radici cristiane” e che lotta contro tiranni e autocrati che mettono a repentaglio i suoi valori liberali e democratici, si è praticamente quasi auto consegnata nelle mani di un islamico: Recep Tayyip Erdogan. Il presidente turco, in passato definito “dittatore” da Mario Draghi e più volte accusato di fare pressioni sul continente sfruttando a proprio favore i flussi migratori, è infatti in prima fila e pronto a vendere le sue armi a un'Europa priva di un robusto settore della difesa. Certo, ci sono campioni nazionali come Leonardo in Italia, Bae Systems nel Regno Unito, il consorzio franco-tedesco-spagnolo Airbus, la francese Thales e la tedesca Rheinmetall. Manca tuttavia il controllo totale delle catene di approvvigionamento e non c'è, probabilmente, la possibilità di unire tanti galli in un solo pollaio. Arriviamo così alla Turchia. Tolte le forze armate degli Stati Uniti, quello turco è il secondo esercito più grande della Nato. Non solo: Ankara può contare sull'azienda che ha letteralmente rivoluzionato la guerra moderna. Parliamo di Baykar, un'importante società specializzata nella progettazione, produzione e sviluppo di veicoli aerei senza pilota. È conosciuta per i suoi droni da attacco come il Bayraktar TB2, che ha avuto un ruolo significativo in conflitti recenti come quelli in Siria, Libia e Ucraina (i tre scenari che hanno e stanno preoccupando l'Europa). Per la cronaca, Selcuk Bayraktar, il Ceo di Baykar, è sposato con Sumeyye Erdogan, la figlia di Erdogan. Che, infatti, si sente così forte da permettersi di arrestare il sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, suo principale oppositore.

L'ultima considerazione da muovere di fronte a ReArm Europe riguarda lo stesso piano di riarmo dell'Ue. Prima di tutto: se i Paesi dovranno investire quattrini in armi, allora dovranno anche tagliare altre voci. La coperta è corta, cortissima, e a sentire il peso dei sacrifici saranno presumibilmente i cittadini. I governi dovranno, presto o tardi, discutere di questioni impopolari come alzare l'età della pensione, aumentare le tasse, ridurre le spese per welfare, istruzione e tanto altro ancora, oppure accettare di vedere i debiti nazionali schizzare alle stelle. Qualcuno, prima o poi, pagherà. Nel frattempo i governi potranno riamarsi infischiandosene di paletti e patti di stabilità, e – pare - avranno pure la facoltà di potenziare i propri eserciti senza esser costretti a spiegare le finalità delle mosse, né di coordinarsi tra loro. Brindano i nazionalisti e gli ultra nazionalisti (a proposito: avete notato che in Italia gruppi e gruppuscoli di estrema destra sono a favore del piano di riarmo europeo?). E brindano pure quei Paesi che vogliono uscire dall'anonimato della storia e diventare dei big. La Polonia, per esempio, studia per essere la “nuova Germania” d'Europa. Varsavia sta acquistando obici e carri armati dalla Corea del Sud, attira investimenti (anche automobilistici) è pronta a ospitare truppe statunitensi e stringe i muscoli. Altro che Europa unita: il rischio è che il mosaico Ue si infranga in mille pezzi.

