“Partinicesi tutti vi racconto una storia di buttane e mariti cornuti consenzienti”. Inizia così, in grassetto maiuscolo, il foglio A4 che è diventato virale. Questa estate vi avevamo raccontato una storia pressoché identica, di corna di provincia dal sapore letterario. Siamo a Partinico, in Sicilia, a due passi da Palermo e da un altro monumento della fornicazione virale, l'hotel Eufemia dove si consumò il dialogo ormai entrato nei libri di storia tra il cunnutu e la sbruttana. Ora ne è spuntata un'altra simile: stessa città, presumibilmente scritta dalla stessa mano, protagonisti diversi. Al nord l'estate è finita da un pezzo, e forse non è mai nemmeno iniziata, ma a Partinico il clima è sempre bollente, fuori e dentro le case in tufo che vedono all'orizzonte il golfo di Castellammare. Le corna continuano, inarrestabili, ma la cosa più bella è che c'è sempre una voce pronta a raccontarle, scrivendo delle pregevoli sceneggiature con tanto di presentazione dei personaggi. Le opere vengono poi stampate e fatte girare per tutto il paese con nomi, cognomi, luoghi di lavoro dei personaggi, nomi dei cani e quant'altro, per poi proseguire naturalmente su tutte le chat di Whatsapp. Tutti i 30mila abitanti di Partinico, ma anche il resto della provincia, si interrogano sull'identità del narratore, una sorta di re del gossip neorealista provinciale, a metà tra Fabrizio Corona e il primo Pirandello. Sarà coinvolto nella vicenda o un estraneo? Cronista morboso o semplice stalker in vena di diffamazione? Un uomo o una donna? Un mistero enorme per una cittadina in cui tutti sanno tutto di tutti. Ecco la storia: un piccolo ma potente affresco di vita provinciale, di corna e insulti, di minchie sicche o piene d'acqua. Una micro commedia in un solo atto, con una caratterizzazione degna di un cinepanettone. Il featuring impossible tra Leonardo Sciascia e i fratelli Vanzina.
Ecco come l'autore presenta i personaggi. La protagonista è “La gran tro*a”, dai capiddi russi tinciuti scapiddati. Una rossa non naturale, dai capelli arruffati. Poi c'è il marito, “Cornuto consenziente”, un personaggio che apre una serie di profondi risvolti psicologici: lo fa per cuckoldismo? Tace perché anche lui ha delle amanti da nascondere? C'è qualche vincolo tra lui e gli amanti della moglie? Oppure il problema è che, a quanto riporta l'autore, è un “minchia sicca”? Lo scopriremo, intanto conosciamo la sorella della protagonista e il fratello, “coso inutile”. Per chi non fosse del posto, un insulto tipico dell'area partinicese: un gradino sotto all'utile idiota, per capirsi. Poi la madre e la buonanima del padre che, almeno lui poverino, essendo venuto a mancare si salva dalle contumelie: “fu brava persona”. Un minimo di rispetto che non viene riservato però all'incolpevole amichetto peloso della protagonista, che viene definito “cane rugnusu” in barba agli animalisti. Finite le presentazioni, inizia il racconto. L'incipit potrebbe averlo scritto Verga, anche se magari siamo portati a pensare allo scrittore siciliano perche le verghe la fanno da padrone durante tutto lo svolgimento della storia. “Saura russa tinciuta lavora senza titolo da un dentista a Partinico”. Saura è un termine aulico, ricercato, e indica il mantello bruno e rossiccio dei cavalli. In questo caso viene usato per una doppia associazione mentale tra i capelli della protagonista e l'atto del cavalcare, che tornerà a breve, non prima di aver specificato che la donna lavora come igienista orale senza avere i titoli per farlo: ci sarebbe materiale per un'inchiesta, non fosse che siamo in un cinepanettone, o un cinecannolo. “Vi dico che lei non mette le mani in bocca alle persone ma se lo fa mettere in bocca”. Ma il bello viene ora.
La Gran Signora, finito il lavoro, nel tempo libero “va nella palestra di Gaspare proteina per tenere in forma il suo corpo grasciato”. Nota di traduzione: la grascia è il sudiciume, qui usato in senso metaforico, mentre il vezzo di associare un sostantivo al nome di persona, con uso ironico, come si vede con il proprietario della palestra, è tipico del palermitano. Probabilmente questo Gaspare è un tipo palestrato che segue una dieta altamente proteica, oppure vende barrette e prodotti per culturisti. Come si poteva immaginare, gli allenamenti della protagonista non sono, secondo l'autore del racconto, sono di ben altro tipo rispetto alla panca piana: si allena “piegandosi in tutte le posizioni facendo contenti i testa di minchia che la cercano per portarsela a fare porcaggini”. Vette di lirismo. Ma la prosperità viziosa della signora riesce a superare la Juliette di De Sade: qui infatti entra di mezzo il cagnolino. No, niente cose strane o amore animalier, però l'autore spiega che la saura russa lo porta in giro, peraltro mezza nuda, “per approfondire in strada i suoi incontri con porci e pezzi di fognatura”. Dopodiché la storia prende una piega francese, da racconto di Maupassant, che nemmeno sembra più di essere in Sicilia: “Sicuramente la avrete vista al caffè letterario, ormai chiuso, a leggere. Era una cliente affezionata e lì a tutte le ore prendeva appuntamenti con i clienti, dava il suo numero a chiunque per incontri di cultura buttanesca”. Bello, no? Ma la vera poesia arriva adesso, con un proclama rivolto direttamente alla protagonista: “russa saura tinciuta e grasciata hai superato per bravura di buttana pure la storica pulla palermitana Rosa tri mutura”. Di nuovo un soprannome meraviglioso: la prostituta di Palermo, a quanto pare storica, Rosa tre motori. Facile immaginare quali, ed è questa la nota che fa da preludio al gran finale: un crescendo osceno e implacabile, un flusso di coscienza e di incoscienza, di insulti e millanterie.
Ecco il fattaccio: “la saura cavalla si frequenta con imprenditore sessantenne perché mira a gente ricca, il pezzo di merda lo chiameremo minchia china r'acqua per rispetto della moglie, persona per bene e bella donna”. La fantasia di un popolo la si misura dagli insulti, e la minchia piena d'acqua è un'immagine difficile da dimenticare. Poi seguono una serie di insulti che sono una discesa infernale, per cui evitiamo di riportarli, se non dicendo che questa storia critica del buttanesimo prosegue sulle spiagge più vicine, frequentate da tutti gli abitanti del paese. Prima di calare il sipario, però, il nostro autore si rivolge al pubblico, ovvero a tutti i cittadini di Partinico, come era successo all'inizio nel titolo. Come se fossimo a teatro. “Concittadini tutti. Mi dispiace nelle brave persone ma si riri nei bar ah ah ah a cuntari di sti buttane con mariti cornuti e traditori e pezzi di merda come minchia china r'acqua che colpevoli tornano a casa dalle famiglie”. Come dire: qualcuno prima o poi doveva parlare, anche se non si capisce chi. La mano sembra la stessa che aveva raccontato un altra storia simile questa estate, e non si capisce se lo faccia con intento diffamatorio personale, se sia contro il libertinaggio o contro l'ipocrisia dei matrimoni di facciata. Inoltre, perché ha fatto i nomi di tutti ma non dell'imprenditore? Sarà un gancio per la prossima puntata? Perché chi fa questi biglietti è così infervorato con chi pratica l'amore libero, anche se non sembra essere parte in causa? Eccesso di perbenismo o ritorsioni personali? “Vi diciamo noi partinicesi per bene chi siti cosi ri chiaccu”, chiude l'anonimo infame, usando un modo di dire piratesco: il chiaccu è il cappio, e traducendo si potrebbe dire pendagli da forca. La storia al momento si chiude qui, ma il mistero rimane. Intanto chi fa di corna virtù è in ansia: sarà lui il prossimo a finire sulla bocca di tutti?