“E così Luca Montezemolo chiese un tavolo per due e Alberto (il proprietario del ristorante, n.d.a.) che è un mito, gli rispose che avrebbe fatto il possibile. Il Matriciano traboccava di gente, come sempre; era un sabato estivo e a un certo punto un cameriere disse all’orecchio di Alberto che c’era Montezemolo. Lui rispose distrattamente, preso dai clienti, ‘ma si, gli avevo detto che c’era da aspettare…’, quando si accorse che sulla porta c’erano Montezemolo con l’Avvocato Agnelli. Fu preso da una sorta di tremore, avanzò come al rallentatore, buttando via una decina di clienti e aprendosi un varco tra la folla, prese un tavolo e lo sbatté a terra e disse ‘Avvocato Agnelli, benvenuto, questo è il Matriciano...’”. Queste parole le pronuncia un sornione Enrico Vanzina in Roma Santa e Dannata quando Roberto D’Agostino traghetta i testimoni di quella Roma che fu opulenta, lasciva e peccatrice tra caste di eletti in gran parte estintesi, condividendo gli episodi più godibili con i suoi ospiti. Uno dei vari aneddoti riportati da Vanzina riguarda il celebre ristorante ancora oggi sito in Prati, Il Matriciano, ove si riuniva il mondo del cinema, della musica, della politica e… dei cavalli, dice il regista. La Roma santa e dannata di cui parla Dago è cambiata ormai da mo’, le discoteche hanno chiuso, il Muccassassina di Vlady è l'ombra di sé stesso e sui terrazzi della Capitale delle mitiche feste che fanno sognare chi non le ha vissute si sono spente le luci. E chissà cosa si dicevano, gli eletti, a quei tavoli di via dei Gracchi in Prati. Noi volevamo rivivere un po' una di quelle serate e siamo andati a vedere com'è, dopo tanti anni, Il Matriciano.
Ci aspettavamo almeno di incontrare Simon Le Bon in odor di anzianità, uno straccio di cantante di Sanremo, una velina, qualcuno. Al passo con i mutamenti del tempo, insomma. Di certo allora il famoso ristorante traboccava di pubblico ripulito e benvestito come adesso; Gianni Morandi appena innamorato della Pitagora, Keith Richards – ma ve lo immaginate Keith Richards che arrotola cicoria ripassata a un tavolino in Prati? – che festeggiava al suo matrimonio con Patti Hansen e offriva la torta a tutti, Renatino e Gigi Proietti. Mica avventori e straccioni tipici di questi tempi bui senza dignità, dove la povertà c'entra poco con lo stile e la cura della persona. Nonostante Il Matriciano “non sapeva a chi dà i resti”, come ricordava Vanzina in Roma Santa e Dannata, il tavolo era pronto per noi con un servizio celere e cortese. Reduci da pesanti gozzovigli pomeridiani non abbiamo rifiutato un carciofo alla giudìa come da protocollo - a Roma il ristorante è buono se è buono il carciofo alla giudìa - degli straccetti di manzo con la rughetta (la vostra rucola) e parte dell'invasione di puntarelle da cui Roma in questo momento è sopraffatta. Non capiamo bene il perché di questo piacevole revival di popolare tradizione, ma ne siamo lieti. È pur vero che Il Matriciano fa parte di quella ristorazione tradizionale romana e borghese rassicurante al limite della scarsa fantasia, ormai nostalgica di quel retaggio morigerato e per bene da Prima Repubblica. Il gotha della sacramentale convivialità capitolina si presenta smaccatamente bene, con un colpo d’occhio distinto nel suo arredo di impronta classica e moderna, con un richiamo ad un illustre passato che si avverte e con la scioltezza di chi la sa lunga e ha navigato i 7 mari della ristorazione e ne ha viste tante. Il Matriciano lascia comunque la sensazione di una esperienza non memorabile, o comunque di qualcosa che sia ‘talmente casa’ da scivolare nella noia del ‘solito’, del non sorprendente.
Il carciofo non ha raggiunto l’eccellenza, ahinoi, sebbene fosse croccante, non unto e di giusta sapidità; gli straccetti di manzo – della premiata macelleria Feroci di via della Maddalena, blasonata e storica boutique di carni nei pressi del Parlamento – buoni e di giusta cottura, per quanto forse troppo spessi. Le puntarelle mpo’ mosce, si dice a Roma, ci perdoni Il Matriciano, con il retrogusto tipico amarognolo del – ci permettiamo - tempo di macerazione eccessivo nella salsa di olio aglio e alici che appunto induce la perdita dell’amaro e con esso la fragrante croccantezza caratteristica. Il Matriciano, vittima anch’esso della perdita di smalto che a Roma affligge troppi miti da troppo tempo, ormai? Ad ogni modo attorno a noi scorgiamo tutte facce conosciute. O forse sono così tutte uguali le facce di chi se la passa bene, nei bei palazzi di Prati, Delle Vittorie e della non lontana Balduina, a Roma. Chissà se l’abito di ottima fattura mitiga e ben dispone chiunque approcci a chi lo indossi, con buona pace del Lombroso, con la sua teoria dell’atavismo fisiognomico, secondo la quale i tratti particolari del volto tradiscono attitudini delinquenziali, aldilà forse della buona impressione data dall’abito indossato. Seppure qualcuno fosse un criminale, non ce ne accorgeremmo. A noi qui ci sembrano tutti ricchi, professionisti, notai, dottori e mogli danarose stimabilissime e ci basta un colore di capelli e un foulard per convincerci. Ad ogni modo la nostra cena si è risolta in breve, con una pagella così redatta: 5 per il servizio, 5 per la cortesia, 4 per il cibo, 4 per la location da poco rinnovata con tanto di pedigree nello studio di design scelto e 5 per il prezzo. Ci torneremmo? No, perché non è nulla di speciale; o perché sugli anni ’80 ci scatarriamo su, ispirandoci a Manuel Agnelli, e menomale che sono finiti? Aspetta; a meno che al tavolo di MOW non vi siano Renato Zero e Roberto D’Agostino. Ma anche Vera Gemma eh!