Buenos Aires e Montevideo si specchiano sulle verdi acque della foce del Tigre. Sono collegate da una fitta rete di velocissimi water jet dove all'interno sono allestite sale ristorante e minibar. Si può fumare sul ponte e sedersi su comodi sedili in pelle, e se stai per vomitare passano gli steward a distribuire i sacchetti. Hanno tutti un sorriso sgargiante, forse perché questa tratta che collega Argentina e Uruguay, costicchia, 60 euro per un'ora e mezza, che, considerando i prezzi pazzi di altre cose un po' sorprende.
Montevideo è la copia fatta con ChatGPT di Buenos Aires. Non mi sono addentrato troppo, sono rimasto al porto e alla città vecchia. Ho visitato il museo dell'epoca precolombiana e ho visto la testa di una tigre dai denti a sciabola, oltre a cimeli di Inca, Maya e Aztechi. Montevideo al contrario di Buenos Aires possiede più di una spiaggia cittadina, purtroppo quando sono arrivato in città pioveva, anzi, pioveva così tanto che le macchine affondavano per le strade. Ma tralasciamo. Sono comunque riuscito a mangiare tantissimo. Bagnato dalla testa ai piedi, senza ombrello e senza connessione dati, cerco un taxi. Fortunatamente qui hanno introdotto benissimo i pagamenti con bancomat, ho pagato con l'app del telefono tutto il tempo e ricevuto sconti e cash back, a differenza di Buenos Aires dove preferiscono pagamento en efectivo (cash) e ti tassano pure la tarjeta (carta di credito) appena possono. Sono però riuscito a mangiare in due posti pazzeschi. Il porto, famoso e consigliato dai tassisti, con griglie fiammeggianti e ogni tipo di taglio di carne possibile. E in un altro locale, caratteristico, di quelli vecchio stile con sedie in legno, personale in divisa anni 70 e ricette assurde. Il Caballero.
L'ho trovato perché stando a caccia di ricette tipiche locali e seguendo Taste Atlas da ormai due mesi l'esperienza mi ha insegnato un nuovo metodo, ho cercato i piatti direttamente su Google maps e da quelli ho ricavato il ristorante. I più interessanti della cucina uruguaiana a Montevideo sono la lengua a la vinegreta, classica lingua salmistrata di derivazione piemontese, leggermente croccante, acetosa, di certo dissimile a quella nostrana, però con quel kick in più dettato dal condimento, ovvero brumoise di peperone, cipolla, prezzemolo simile alla salsa Criolla argentina che si usa per l'Asado. Poi il Matambre a la leche, controfiletto cotto nel latte per ore, me lo ha spiegato il tassista al quale ho spiegato cosa andassi a fare, mi ha portato al locale solo dopo avermi spiegato tutto il procedimento per cucinare il Matambre a la leche: ci vuole tempo e serve che anche 12 ore prima che il latte al quale viene aggiunto il limone per formare il caglio, evapori definitivamente. Il controfiletto rimane tenerissimo e delicato, leggermente sbruciacchiato. Forse mancava un po' di sale, ma in genere su tutto mancava. Soprattutto sui cappelletti in salsa Caruso. Sembravano una terrina di tortellini panna e prosciutto come si mangiano da noi, un piatto infantile e che per questo va al di là di cosa è bello e di cosa è buono. La salsa Caruso è dedicata al famoso e blasonato Enrico Caruso, tenore napoletano del secolo scorso, che viaggiò anche in Uruguay portando la sua musica. Qui conobbe il leggendario chef Monti, che data la popolarità del cantante italiano gli dedicò il piatto. Besciamella, prosciutto, funghi e ovviamente i cappelletti.
Per concludere, un dolce, assurdo. Il Chaja, dedicato a un uccello popolare in Sudamerica, che in effetto ci assomiglia un po' soprattutto nel piumaggio, una torta fatta di sbriciolanti pezzetti tutt'intorno di meringhe biscottate, dulce de leche (che non basta mai) mela cotogna o pesca sciroppata e via servire. Noi lo abbiamo estratto da una scatoletta blu. Era confezionato, certo, ma te la ricordi la Viennetta? La stessa sensazione. ma dall'altra parte del mondo. Per sapere invece cos'ho mangiato al Porto di Montevideo, ho fatto un reel apposta!