Nella generale bulimia culinaria che ci ha travolto negli ultimi anni, a chi non è capitato di soffermarsi a guardare come manipolano gli alimenti i personaggi “famosi” e i food blogger sui social? Anche non volendo, capita di trovarseli davanti diversi food blogger, che prediligono ceci e tofu per l'esercito vegan, o la fazione opposta schierata a favore della cucina crapulona, a botte di carbocreme e “ricette della nonna”. A questo proposito abbiamo intervistato Guido Mori, direttore dell’Università della Cucina Italiana, molto critico nei confronti di questi influencer che, con questi contenuti sulla cucina, guadagnano, ma che forse dovrebbero prima imparare almeno le regole basi della cucina, senza privarla del suo senso e della sua struttura. Ma chi sei tu Mori, per dire che quelle magie peccano di mancanza di regole nutrizionali, di provenienza di ingredienti a chilometro zero e stagionalità, di regole di cottura? Vien da chiedersi. Il primo approccio alle stories Instagram di Guido Mori è quello di bofonchiare l’istinto sotteso di hater, da “animale social”, per blastare il rotondo toscanaccio chef. Il panciuto cuoco osserva, commenta, impreca, critica e lancia anatemi ai giovani influencer che spadellano davanti al monitor accumulando like. Come tanti pifferai magici costoro ammaliano il pubblico con le loro movenze, che appaiono perfino esperte, mescolando ingredienti dai quali prendono vita invitanti piattini. Guido Mori però li smonta a uno a uno, manco fossero chiare d'uovo: “Leggila almeno la ricetta!”, grida esasperato, “Ma non lo vedi che è tutto sbagliato?”, aggiunge poi. A noi, diciamo la verità, a freddo costui ci indisponeva non poco, così saccente e criticone. E in fondo chi sei tu, Guido Mori, per dire che quei ragazzi dalla lesta esecuzione in cucina, sono dei buoni a nulla? Noi, in fondo, non riusciamo neanche a mettere insieme il pane col salame. Così lo abbiamo chiamato per dirgliene quattro e sentire da che pulpito arrivasse cotanta predica. E abbiamo preso una facciata che ce la ricorderemo a lungo (e ben ci sta). Perché Guido Mori non solo non è antipatico per niente, ma anzi, saremmo stati ore a sentirlo argomentare, e di cucina ne sa davvero a pacchi e adesso vi spieghiamo perché in fondo abbia ragione da vendere.
Guido Mori di cosa si ti occupi precisamente?
Attualmente sono il direttore dell'Università della cucina italiana: sono il direttore del master in Arti e Scienze Culinarie e di quello di Giornalismo Enogastronomico dell'Ateneo IUL. Sono il principale docente di cucina scientifica di Alma, scuola di alta cucina.
Complimenti Guido, ma perché ce l’hai tanto con i food blogger e gli influencer del cibo?
Perché hanno la colpa di veicolare un messaggio sbagliato sul cibo. Un messaggio “fatto male”, che ignora le basi della cucina, senza prendersi la responsabilità di imparare ciò che si vuole trasmettere, comunicare.
Dicci di più
Questi ragazzi sono dei professionisti, perché guadagnano con il loro lavoro. É in quest’ottica che dovrebbero fare attenzione ai contenuti che passano, che sono carenti sotto tutti i punti di vista. La cucina ha delle regole e una struttura e gli influencer, in quanto appunto ‘influenti’, dovrebbero rispettarle, conoscerle a fondo. Se si utilizzano i pomodorini a febbraio, si trasmette un messaggio svalutante della stagionalità e del power up dei prodotti italiani, ad esempio, e lo stesso vale se si ignorano le pratiche sanitarie o le si comunicano in maniera sbagliata.
Così capiamo meglio l’origine dei toni di alcuni tuoi post sui social, ma come mai questo spessore non buca lo schermo? Perché appari sempre come un brontolone acido e per questo becchi gli insulti dei followers che non capiscono? È un vero peccato che non emerga la tua sconfinata professionalità.
Ci vorrebbe più tempo per argomentare e non ne ho.
Guido, se dovessi raccontare ai profani cosa fai davvero in cucina, cosa diresti?
Io faccio cucina scientifica, che sarebbe l’evoluzione della cucina molecolare. La cottura a bassa temperatura è uno squisito esempio di questo.
Che differenza c’è tra la carne coltivata e la carne sintetica “stampata”?
La prima, prodotta da cellule staminali accresciute in un siero di proteine in vitro (vegetali, animali o insetti), replica il Dna della cellula di partenza fino a ottenere una “bistecca”. La seconda viene invece “modellata” utilizzando stampanti 3D alimentari, costruendo una “tagliata”, fibra dopo fibra, a partire da proteine e grassi vegetali, soprattutto legumi. Non esiste la carne sintetica e comunque l’importante è come si gestisce il prodotto e la comunicazione di esso, mentre spesso sento dire un mucchio di cazzate.
Insomma, la tua filosofia nasce da un’intensa preparazione e mai dall’improvvisazione
Io mi sono pagato gli studi facendo il cuoco, e per chi come me si è fatto il mazzo è frustrante vedere che altri vendano fuffa. C’è un gruppo di pizzaioli che inventano bischerate, fanno la pizza con tutti i generi alimentari di Napoli per fare show. Lo show è deprecabile allo stesso modo del cosiddetto food p*rn, ormai antiquato e tanto per scioccare. Ma i cicli di fermentazione bisogna studiarli, non si può far la pizza ignorandoli.
La sostanza è che tu sottendi a principi alla base della preparazione dei cibi che con gli influencer e i food blogger effettivamente non hanno nulla da spartire.
Scienza e cibo vanno di pari passo.
Guido, quali sono le tue passioni a parte la cucina?
Amo molto l’arte, la letteratura, le moto, le montagne. Leggo però anche saggi di cucina, scienza e tecnica, ma poca poesia.
E quale piatto ami di più?
La caprese è quella che si presta di più a regalare certe sensazioni, che ha più ‘umami’. È importante la qualità della mozzarella e il giusto grando di acidità del pomodoro. Il cuore di bue è di certo adatto, al contrario del pomodorino del Piennolo.
Ci aspettavamo un lampredotto
Il lampredotto lo collego alla ritualità. Quella che esisteva presso le vinerie, che a Firenze non esistono più. Ormai sono desuete e raccontavano il territorio. Ora si cerca una rappresentazione più ovattata del luogo e meno realistica, come All'Antico Vinaio. Un fiorentino doc non ci andrebbe mai, essendo una versione americana del prodotto. È addirittura migliore la focaccia della Crai che quella de All'Antico Vinaio e anche lo slogan è fuorviante: “Bada come la fuma”, è un concetto errato perché la focaccia si mangia quando è riposata, non umida di vapore.
Bocciata insomma la focaccia di Tommaso Mazzanti. Ma un ristorante lo aprirai mai, Guido?
Lo aprirò e sarà lì dove vivo, ad Impruneta.
E a parte gli influencer culinari, cosa pensi della più famosa, Chiara Ferragni, e delle vicende che la vedono al centro di ogni polemica?
È molto interessante il fatto: vi è una grande discrepanza tra il provvedimento dell’Antitrust che ha inflitto una multa di oltre un milione di euro all’influencer dei pandori e ciò che lei stessa sostiene. Anche la rappresentazione data dal mondo social è fuorviante, come spesso appunto accade su queste piattaforme. E comunque io le farei delle domande scomode, se facessi il giornalista.
Guido, ma c’è almeno qualcuno nel mondo social che stimi?
Certo, Elena Zeng, Daniele Rossi, ad esempio. A Rafael Nistor, il content-creator che, come tanti altri, guadagna con il cibo, rimprovero di non imparare davvero a cucinare, visto che ha il dovere di non veicolare messaggi errati. Insomma, almeno le ricette, leggile!
E della legge Massari che ne pensi?
Non l’ho seguita e comunque il Ministro Lollobrigida mi fa ridere.
Alessandro Borghese sostiene di trovare aspiranti cuochi offrendo loro benefits e paghe adeguate; al Corriere, infatti, ha detto: “Cerco di farmi dire di sì offrendo, oltre a un contratto con 13esima e 14esima, benefit e welfare aziendale: pasti al ristorante, spese mediche agevolate, consulenti per la ricerca di alloggi, avvocato interno per le pratiche. Penso di poter dire che i miei dipendenti siano felici, ma siamo sempre in cerca”. Tu sei d'accordo con Vissani che dice che il giovane non ha più tanta voglia di fare questo mestiere, o come sostiene Borghese, se si offrono condizioni migliori i giovani lavorano in cucina? Cosa offri ai tuoi aspiranti dipendenti?
Tutti i lavori che fanno parte del turismo, sotto il quale ricadono i contratti lavorativi della ristorazione, godono di tredicesima e quattordicesima, tranne rarissime eccezioni. Il welfare aziendale è una pratica che sopra una certa dimensione è richiesta per legge, comunque sia è sempre consigliato, perché i servizi sono quasi sempre scaricabili dalle tasse. Lo stesso discorso vale per i pasti. Molte aziende di una certa dimensione, in particolare quando hanno movimenti rilevanti di personale, si avvalgono di tecnici che possano aiutare nella ricerca delle abitazioni che ad oggi rimane uno dei grandi problemi del mondo lavorativo della ristorazione. Tutto questo per dire che parte delle cose che Borghese afferma, come il suo comportamento d’eccellenza, sono richieste dalla legge italiana. Le restanti sono prassi comuni nelle aziende. Questo ci da immediatamente la misura di come il mondo del turismo e in particolare della ristorazione, goda di un vizio di fondo: ignorare nella maniera più totale i diritti dei lavoratori. Questo sfruttamento che si è protratto per anni, il lavoro sommerso, gli orari assurdi, gli straordinari non pagati, il bullismo e la violenza verbale hanno portato ad un allontanamento della classe lavoratrice dalle attività produttive ristorative. In questo momento storico l’Italia è meta di un turismo di massa e sta attraversando il picco della sua offerta turistica e ristorativa. Sfortunatamente la mancanza di serietà di molto ristoratori ha creato una situazione per cui il personale è diventato molto difficile da reperire. Spesso manca il personale e tra i pochi che si trovano non si riesce ad avere personale qualificato. I lavoratori tendono a non rimanere molto nelle aziende, non si riescono reperire abitazioni e per alcune città gli spostamenti sono diventati impraticabili. Questa è la situazione ad oggi e questa situazione la dobbiamo a ristoratori miopi che non hanno avuto, per il loro tornaconto personale, la serietà e l’onestà di trattare i lavoratori in maniera dignitosa. Io credo che nemmeno Vissani sia d’accordo con Vissani, quindi non vorrei contraddirlo e resterò in disaccordo. Credo che le aziende siano fatte da chi ci lavora dentro, ed è molto importante trovare una sintesi tra i bisogni dei lavoratori e le esigenze dell’azienda: sopra a tutto, sempre, come bussola morale il rispetto della legge nella maniera più totale.
Guido, conosci la condizione dei ristoranti a Milano? E quella romana? Che differenza pensi che ci sia tra Roma e Milano per quanto riguarda la ristorazione? E Firenze? Da cosa dipende il buon andamento della offerta della ristorazione, cosa bisognerebbe migliorare nel nostro Paese?
Roma, Milano, Firenze hanno una serie di lati comuni: altissima densità di turismo, presenza di classi alto spedenti, presenza di grandi gruppi industriali. Il turismo però cambia tutto è una fonte di proventi quasi inesauribile e lascia la ristorazione in una situazione arretrata e stantia, pronta soltanto ad incassare e mai ad evolvere. La ristorazione italiana come la cultura, sono sintesi di tutte le culture con cui entriamo in contatto, rielaborazione di queste e creazione di qualcosa di nuovo. Non dobbiamo aver paura del futuro e non dobbiamo temere il diverso. Commistioni e rielaborazioni sono quello che ci potrà portare fuori dalla stagnazione culturale in cui siamo finiti.