Premessa doverosa: non ci siamo ubriacati né siamo sotto l'effetto di sostanze stupefacenti. Qui nessuno vuole paragonare Stati Uniti e Spagna, e cioè una superpotenza globale, quella americana, e una delle 27 nazioni che formano l'Unione europea, dalla capacità decisionale ridotta e che ha un'economia almeno una quindicina di volte più piccola rispetto a quella degli Usa. Il ragionamento, semmai, è un altro. Con il declino di Washington accelerato da Donald Trump, sia in termini economici che soprattutto geopolitici; con il rischio di assistere presto a una guerra commerciale a tutto campo (o a qualcosa di peggio, con missili e bombe); con il sistema economico statunitense che continua a premiare ricchi, ricchissimi e grandi aziende, dimenticando al contempo la classe media (in estinzione) e gli altri; con il concetto Make America Great Again che fa rima con isolazionismo della prima potenza del pianeta, ecco, considerando tutto questo, nel sistema internazionale che conosciamo si aprono interessanti praterie che qualcuno ha già iniziato a sfruttare. Là dove prima c'era un mondo a trazione Usa, influenzato, ispirato, plasmato secondo i valori, la lingua e la cultura statunitense, adesso stanno prendendo forma tante zone d'influenza ognuna delle quali appannaggio di un Paese diverso. Per dirla in altri termini, stanno resuscitando gli imperi del passato. Si fanno strada, però, non a suon di guerre bensì a colpi ben assestati di soft power, pragmatismo e investimenti. Chi occuperà il posto lasciato vuoto dagli Stati Uniti? Per quanto riguarda l'Europa c'è un Paese che ha buone, buonissime carte da giocare: la Spagna di Pedro Sanchez.

In Asia ci penseranno Cina e India a consolidare e gestire le loro zone d'influenza. La Russia farà da “ponte” tra il continente asiatico e l'Europa orientale. La Polonia ha la chance di rosicchiare la torta della Germania. La Francia di Emmanuel Macron sogna di lanciare un'opa sull'Europa centrale. La Turchia di Recep Tayyip Erdogan guarda al Medio Oriente e al Nord Africa. Le petromonarchie ragionano già come se fossero città-stato. Gli Usa, come detto, preferiscono stare appallottolati su loro stessi. In mezzo a questo marasma di poteri incrociati, sogni e ambizioni, noi diciamo: occhio alla Spagna. Intanto perché parliamo di un Paese che sta bene, che cresce, che ha entusiasmo. Nel 2024 il pil spagnolo è aumentato del 3,2%: più di quello di Germania (- 0,2%), Francia (1,1%), Italia (0,5%) e Regno Unito (0,9%). L'Economist ha classificato quella di Madrid come l'economia con le migliori performance al mondo, nonché responsabile del 40% della crescita dell'Eurozona nel 2024. “Il modello spagnolo ha successo perché è un modello equilibrato, e questo è ciò che garantisce la sostenibilità della crescita”, ha invece spiegato Carlos Cuerpo, ministro delle Imprese nel governo di coalizione guidato dai socialisti di Sanchez. La Spagna sta usando (e ha usato) al meglio i fondi europei del programma Next Generation (circa 163 miliardi di euro), investendo denaro, per esempio, nel sistema ferroviario nazionale, nelle zone a basse emissioni nelle città, nel settore dei veicoli elettrici e nei sussidi per le piccole imprese. Ha poi aperto le porte alla Cina (che ha investito in campo energetico e automobilistico proprio in Spagna) nel momento in cui Bruxelles si allontanava da Pechino e ha saputo ridistribuire la ricchezza accumulata. Il modello spagnolo convince l'opinione pubblica (non solo nazionale) e spaventa le tecnodestre.

Il primo passo della Spagna? Diventare una potenza regionale. Missione quasi riuscita, almeno a giudicare dai dati ufficiali. Il prossimo step è work in progress: trasformarsi in una potenza globale affidandosi al pragmatismo di Sanchez ma soprattutto... al passato. Già, perché la Spagna non è solo il Paese europeo che siamo abituati a immaginare, quello che comprende Barcellona, Madrid, Ibiza e tante altre isole da favola. La Spagna ha infatti le potenzialità per superare i confini geografici presenti sulle cartine odierne. Può parlare all'America Latina (gran parte della regione parla la lingua spagnola e ha fatto parte dell'Impero spagnolo fino alla prima metà del 1800), Messico compreso. Un Sud America che dovesse avere in Madrid il suo cuore pulsante e fondere i suoi interessi economici nell'intera penisola iberica (mettiamoci dentro anche il Portogallo), renderebbe Sanchez un leader veramente globale. E capo, finalmente, di una potenza altrettanto globale. Tutto o quasi dipende però dall'economia: se la Spagna continuerà a crescere, senza blackout e tensioni interne, allora l'Impero gentile di Sanchez potrebbe davvero diventare un nuovo attore internazionale di rilievo. Un gigante in grado di far preoccupare Washington.

