Cazzotto. Cosa ci sei venuto a fare in America Latina? A cercare l’avventura. Cazzotto. E cosa facevi in Europa? Mah, niente… Cazzotto. Cosa facevi politicamente? Ma… riunioni… ho anche scritto qualcosa. Cazzotto. Cosa hai fatto oltre a chiacchierare? Ginocchiata. Ma non è che si possa fare molto… Altro cazzotto. Cosa hai fatto di politicamente utile? Sai… c’è molta confusione e disaccordo. Gancio sul mento. A cosa hai rinunciato per lottare? Mah, non è che rinunciando a qualcosa… lo tira su, in piedi, e il guerrigliero gli tira un altro cazzotto. Giuseppe Bergman è esanime, il guerrigliero lo tiene per il bavero con le nocche insanguinate mentre il minaccioso gli sibila “dammi un solo motivo per cui io non ti debba ammazzare”. Quando leggo il Substack di Alessandro Baricco sulle proteste pro-pal, sul continente digitale che si sta staccando dal Novecento, torna alla in mente questa scena del fumetto di Milo Manara, “L’Avventura”.

Poi ripenso pure a "La Pelle" di Curzio Malaparte, alla scena degli uomini crocifissi sotto la luna, di lui che cerca di liberarli e loro che gli dicono “cristiano, questa è la tua pietà? Prima ci crocifiggi e poi ci vuoi liberare? Ammazzaci” e quando poi Kurtz mette mano alla pistola questi ritornano ad accusarlo “cosa fai prima ci dai la tua pietà e poi ci spari in faccia?”. E giù risate tra gli uomini crocifissi. Poi penso a "Profumo di Donna", il film di Dino Risi, in cui Vittorio Gassman interpreta il cieco, nella scena del viaggio in treno con il suo giovane assistente. “Tu credi che io soffra perché non posso più vedere un bel tramonto o la Cupola di San Pietro? Il sesso, le cosce, due belle chiappe. Ecco la sola religione, la sola idea politica, la vera patria dell’uomo. La fica. Bevi anche te!”. Schiaffone. E poi la nausea per la politica, quella di Gabriele D’Annunzio, quando descrive i deputati fuori dal parlamento a Roma come un “grigio diluvio diplomatico”. Poi Tasso, bello in sì bella vista, anco è l’orror. Ma così da lontano è difficile scorgere i volti, gli umori, le parole degli uomini. Dall’alto della Torre d’Avorio è così difficile capire se chi, da sotto, cercando di scrutare l’abisso che è in te, in verità non desideri d’ammazzarti. Ricordate, Rosso Malpelo? “L’asino, se potesse, ti ammazzerebbe, e se si lascia battere è perché non ha le mani per restituirtele, ma appena può ti dà un calcio o un morso”.

Bestie vere, belle perché feroci, non certo perché educate come gli studenti della Holden, rivoluzionari foderati in kashmire, con le loro sciarpe miste lana, i loro soprabiti in pelle vintage comprati per centinaia di euro in negozietti in cui c’è sempre puzza di piedi, le loro rette annue da ventimila euro, le loro stanzette in affitto sul lungo Po Antonelli e gli spinelli per decomprimere il vuoto pneumatico che abita i loro crani. Viene in mente Dino Segre, alias Pitigrilli, autore di "Cocaina", scrittore piemontese nato a fine ottocento, che per salvarsi la pelle, essendo ebreo, divenne informatore dell’Ovra e fece arrestare tanti suoi amici. Un traditore? Sì, però mi viene in mente ancora "La Pelle" di Malaparte, perché “La pelle, signori, la pelle è tutto. La pelle è la sola cosa che conta. Si può perdere l’anima, l’onore, la libertà, la dignità, ma finché ci resta la pelle, siamo ancora vivi. Quando non si ha più neppure la pelle, allora non si è più nulla”. E vengono le lacrime agli occhi se uno pensa davvero a cosa debba significare per un uomo, salvarsi la pelle. E viene da piangere, con quell’espressione un po’ così, di un uomo, o una donna che piange. E pensare che il cranio al di sotto della pelle invece ride. Fammi una faccia da guerra. È la stessa espressione feroce che abbiamo durante il sesso, durante l’orgasmo. Perché il teschio, di sotto quella pellaccia che vogliamo tutti salvarci, ride. E allora ridi pure tu, slacciati la cintura, sbottonati la camicia, levati gli occhiali. Non startene lì impalato a raccontarci del “continente digitale che si sta staccando”, ma scendi per strada, al di fuori di quelle quattro piazze che è il centro di Torino. Fatti due passi in corso Giulio Cesare, in Barriera di Milano. Il continente che si sta staccando è tutto lì, concentrato in un ghetto a cielo aperto e dalle finestre di case in cui non c’è spazio nemmeno per una lavatrice, vedrai dai balconi appese qualche bandiera della Palestina, uno stato che non c'è. Dice bene Alberto Negri in una recente intervista, perché quella bandiera non è il simbolo di una rivoluzione anti-borghese, giovanile contro il tuo novecento. Non hai capito niente, la bandiera della Palestina è diventata il simbolo universale della miseria, e dei miserabili, che nei Gazawi riconoscono dei propri simili, perché ancora più miserabili di loro. Non è il sessantotto, perché non è un’illusione, è la grigia realtà.

Non è una rivoluzione, è presa di coscienza della propria povertà, impotenza, prostrazione, delusione. E “attraverso il digitale possiamo…”. Ma cosa possiamo fare, attraverso il digitale se ad un certo punto scoppia una bomba nucleare che spazza via tutto. Cosa fare se ti scippano il cellulare e il portafogli con documenti, carte di credito, numeri di mamma, papà, casa. Beh, anzitutto puoi andare in questura, affidarti allo Stato, quell’organizzazione burocratica che ormai da poco meno di due secoli gestisce i confini dell’Italia e le persone che ci vivono dentro, che vi nascono, che vi muoiono, attraverso il monopolio della violenza. Puoi affidarti a quell’organizzazione militare, quindi politica, quindi economica, quindi burocratica e domandare aiuto per salvarti quella pellaccia che ti ritrovi. Se poi ti hanno accoltellato, devi fare la stessa cosa. E se non puoi fare tutto questo allora scegli di vestirti di nero e dare fuoco un po’ a caso a quel che ti capita per le mani. Se però hai un nemico esterno vesti la divisa. Se il tuo nemico è lo Stato allora diventi un criminale, ma sei della stessa pasta di cui sono fatti i poliziotti. Hai solo fatto una scelta di campo differente. E stai tranquillo, non hai “scelto di vivere in modo diverso, per non morire nello stesso modo dei padri” come scrive Alessandro Baricco nel suo recente Substack. Sei solo una persona, convivi con un dolore personale e io ti voglio bene, ti amo di adoro e ricopro di baci, ma a te che te ne frega, e se imbracci l’artiglieria è la guerra di Piero e la tua divisa è di un altro colore. Il blu lo sceglie di solito chi vuole fare la parte del buono. Il rosso, il colore del male, dei cattivi, dell’inferno, se lo piglia chi è rimasto senza posto a sedere. Ma se è proprio vero che le rivoluzioni “producono spettacolari contro-movimenti di cui non sempre si può controllare il design”, come “quella francese del 1789” che “rimbalzò in una turgida acrobazia il cui kitsch è splendidamente riassunto nel quadro di Ingres dedicato a Napoleone imperatore” allora possiamo pure rinunciare ad altre parole, risparmiando il lettore ormai stremato da questa assurda invettiva, lanciando un'ultima provocazione, questa sì davvero rivoluzionaria. Come direbbe Umberto Eco in piemontese: Baricco, "gavte la nata va!". E ora, la guerra è finita, andate, andiamo in Pace.
