"Anche gli Agnelli pagano le tasse”. Parte così l’attacco di Maurizio Belpietro alla Dinasty italiana dell’auto e del pallone. Un attacco che si riaggancia a una quindicina abbondante di anni fa, un momento di cui il direttore de La Verità riferisce un dettaglio che, a suo dire, fu accuratamente sminuito dalla grande stampa italiana: "Ricordo, era l’estate del 2009, quando circolò la notizia di un tesoretto di duemila miliardi di euro che l’Avvocato aveva nascosto al fisco", scrive Belpietro. Il riferimento è al contenzioso tra Margherita Agnelli e la madre, durante il quale sarebbero emersi "conti cifrati all’estero, nascosti nei paradisi fiscali".
Eppure, osserva Belpietro nel suo editoriale, nessuno gridò allo scandalo: "Curiosamente quasi nessun quotidiano scelse di fare del tesoretto nascosto di Gianni Agnelli il titolo principale della prima pagina. L’unica eccezione fu costituita dal giornale che allora dirigevo". Perché? Secondo il direttore perché l'Avvocato "era praticamente il padrone d’Italia" e, con le sue eccentricità vestimentarie e le sue frequentazioni globali, si era ritagliato un’aura quasi regale, "un po’ come i Kennedy in America. Agnelli, pur non essendo un politico, era l’imprenditore che rendeva orgogliosi gli italiani, circondato com’era di belle donne e belle macchine, […] Peccato che l’uomo così spiritoso, l’imprenditore così illuminato, [...] a quanto pare non pagasse le tasse e nascondesse un tesoro nei caveau delle banche internazionali".

Sedici anni dopo, la storia sembrerebbe ripetersi, ma con volti nuovi. Gli eredi dell’Avvocato si accordano con l’Agenzia delle Entrate e versano "la modica cifra di 175 milioni di euro". Bruscolini, certo, per chi ha dominato l’economia italiana per un secolo. Ma l’ironia di Belpietro si fa subito amara, nel ricordare che Jaki Elkann, oggi a capo della dinastia, non si libererà così facilmente della questione: "seguirà anche qualche strascico di natura penale", forse una "messa in prova, di servizi sociali", come chi ha "commesso un delitto".
Quella che viene raccontata non è solo la fine di un’inchiesta fiscale, ma "la fine di un’epoca, con la caduta di un mito e, un po’ anche della sua impunità". È qui che Belpietro affonda il colpo più duro contro la dinastia che ha intrecciato economia, politica e informazione con mani invisibili ma onnipresenti. La domanda finale suona come una sfida: "Occorre capire se dopo aver chiuso le pendenze con l’Erario chiuderanno definitivamente anche gli stabilimenti di un gruppo che per un secolo è stato il più grande d’Italia. Oppure sceglieranno almeno di salvare quel che resta della reputazione".
