Quando sul Corriere della Sera è comparsa un’intervista di Aldo Cazzullo a Roberto Saviano, in cui lo scrittore di Gomorra da vent’anni sotto scorta dice di aver sbagliato tutto e di aver pensato al suicidio, il tavolo per la polemica era già apparecchiato. Da sempre la sua figura ha diviso l’opinione pubblica, scavando una specie di solco che separa due tifoserie: chi lo sostiene e chi lo avversa. I primi gli riconoscono il fatto di aver parlato di Camorra senza aver mai nascosto nomi e cognomi, oltre ad appoggiare il pensiero critico che lo stesso Saviano ha esteso negli anni alla politica, soprattutto contro Matteo Salvini e Giorgia Meloni. I secondi gli imputano di aver consegnato Napoli tutta all’infamia, identificandola di fatto con la Camorra e i suoi clan. E ancora, di sfruttare l’aura di “scrittore in catene” come uno strumento di autopromozione, tacciandolo in sostanza di ipocrisia. Non c’è dunque da sorprendersi se tutto questo si è acuito con l’intervista al Corriere, la stessa testata sulla quale peraltro Saviano lavora. “Roberto Saviano non è uno scrittore, è un martire”, ha scritto il direttore della Verità Maurizio Belpietro, approfittando di una dinamica inusuale e continuando nel merito delle dichiarazioni di Saviano.

Come fa notare lo stesso Belpietro, l’intervista arriva poche settimane prima dell’uscita del nuovo romanzo dello scrittore napoletano, basato sulla storia di Rossella Casini, giovane studentessa fiorentina, e vittima di 'ndrangheta. Un libro in cui la tematica dell’amore e dell’impossibilità di amare riveste un ruolo importante, così come nell’intervista concessa da Saviano. “Quando voglio bene a una persona, quando lei mi vuole bene, il rapporto è sabotato. Lei ti saluta, esce e tu resti chiuso”, racconta Saviano a Cazzullo per spiegare quando la vita sotto scorta gli impedisca di viver una vita normale, tanto nelle relazioni familiari quanto in quelle amorose. “Da quel che si capisce la ragazza l’ha mollato, e lui non soltanto non se ne fa una ragione ma dà la colpa alla camorra”, commenta Belpietro, che prova con risultati alterni a smontare qualunque parola dello scrittore. Per il direttore della Verità Saviano vorrebbe ammantarsi di un’aura che non è in grado di reggere, quello dell’intellettuale perseguitato. “Al contrario di Solgenitsin, il premio Nobel che scrisse Arcipelago Gulag mentre stava in Siberia, lui non sta al fresco – e ancora – è un detenuto che viaggia”. pungola Belpietro. Uno dei passaggi più critici dell’intervista è quando Saviano confessa di aver pensato al suicidio e, gravato da una vita che non gli concederebbe nulla, ammette di pensare di aver sbagliato tutto. Una “penosa confessione”, commenta il detrattore, che ha questo punto insinua il dubbio che non si tratti di una trovata pubblicitaria in vista dell’appuntamento in libreria. Infine, la butta in caciare tirando in ballo Maurizio Costanzo e l’attentato della bomba in via Fauro a Roma a cui sopravvisse nel 1992: “Nonostante l’attentato, ogni giorno andava in trattoria e di sera al teatro Parioli e di certo non è campato facendo la vittima”, chiosa Belpietro.
