Solo nel 2024 sono usciti, all’incirca, centosedici libri sulla criminalità organizzata (è una stima al ribasso, fatta a partire dal catalogo online di Ibs-Feltrinelli), di cui uno di Roberto Saviano per Fuori Scena, Noi due ci apparteniamo: Sesso, amore, violenza, tradimento nella vita dei boss. E forse ogni anno, almeno da quel 2006 in cui uscì Gomorra, almeno un libro di Saviano tira su la testa tra i cento/duecento libri sulla criminalità organizzata. Sia mafia, Camorra, o ‘ndrangheta, per Saviano è questione di tatto, nel senso che dove tocca prende. Ha preso dall’attualità, dalle migrazioni nel Mediterraneo e, in assoluto, da quel Sud che descrive come antipolitica, come fallimento delle istituzioni, come assenza di gendarmi a ogni angolo. Il Sud della malavita e della collusione mafiosa, dei boss, del traffico di droga, dell’omertà e di pochi isolati eroi, malcompresi o criticati persino da molti intellettuali da cui Saviano si tiene, con cautela antiquaria (e quindi senza sputare sulla tomba di nessuno), a distanza. Leonardo Sciascia, per esempio, quello della “feroce / forza” che si “noma”, si fa legge (in realtà è Manzoni, che Sciascia amava, a dirlo; ma è di questo che parla tutta l’opera di Sciascia: una fiera che si finge pacifica e risolutrice, istituzionale; il potere stesso, cioè la mafia; che è poi il potere legibus solutus, senza leggi perché la legge è un paravento, descritto da Hobbes nel Leviatano o da Ulpiano, dove ciò che si noma, appunto, deve essere rispettato da tutti ma non deve necessariamente rispettarsi da sé; e infatti è il potere, i potenti, che di solito fa di sé qualcosa di imbarazzante e indegno).
E così è anche per la prossima operazione editoriale di inizio 2025, L’amore mio non muore, che uscirà per Einaudi Stile Libero, editore e collana che ripubblicheranno per il ventennale anche Gomorra. Una storia di ‘ndrangheta, omicidio senza giustizia e giovinezza interrotta. Tra prevendita, interviste e pubblicità, ne sentirete parlare ovunque, quindi la trama ve la cercate. E venderà, venderà nonostante sarà passato il Natale, il periodo in cui i libri diventano come i calzini e tutti li comprano, tutti li regalano. Però i libri di Saviano sono calzini sempre, per cui venderà anche a gennaio, febbraio, in estate, anche quando la gente preferirà uscire in infradito. Quando qualcosa va di moda, come Roberto Saviano, lo compri non solo quando è tempo, ma anche in vista della stagione successiva, per l’inverno. Ecco l’ennesimo calzino, o maglione, sulla mafia. È sulla ‘ndrangheta, è vero, ma è sulla mafia. Nel senso che è il libro nella frase “regaliamogli quel libro sulla mafia”, che poi mafia non è ma fa lo stesso, perché tanto di quello si parla, no? I cattivi, i boss, le cose losche, cose cosche e così via. Saviano, dopotutto, lungi da essere sacerdote e messo del Signore nel mercato editoriale che porta la sua firma un po’ su tutti i prodotti post-Gomorra, è piuttosto chierichetto in tunica intonsa, e laddove c’è mafia, nelle librerie o in tv, ti aspetti di vederlo a suonare le campanelle d’allarme, che erano quelle dell’eucarestia (e ci sta così bene, nella parte, che a volte si dimentica di posare campanelle e tunica e inizia a suonare l’allarme un po’ per tutto, dal garantismo – era il 2020 – al fascismo, oggi).
Poi uno crede che non si possa leggere altro che lui, se vuoi saperne di mafia (che poi non è mafia, ma avete capito; è quella cosa lì). Lui o assimilabili autori che bene si troverebbero in piedi vicino a sindaci e assessori col tricolore, pronti a commemorare con scolaresche e fanfare monumenti e date (mai, davvero, le persone). E invece non è così. C’è Sciascia, appunto, che avrebbe criticato il savianesimo all’acqua di rose e non avendo potuto per motivi anagrafici ora, dalla tomba, deve incassare le critiche di Saviano, che nel 2010 polemizzò intorno all’infelice uscita dello scrittore siciliano sul Corriere, era il 1987, quando scrisse dei cosiddetti “professionisti dell’antimafia”; critica che manca di cogliere l’ironia, cioè il rovescio che egli stessi poteva sfruttare portando alle estreme conseguenze le parole pronunciate proprio da coloro che, giustificando la nomina di Borsellino, dissero di un magistrato più anziano scalzato: “è un magistrato gentiluomo”; frase che portò Sciascia a chiedersi: “Si vuol forse adombrare che possa esistere un solo magistrato che non lo sia?” Saviano, al contrario, ben consapevole di dov’è il bene e dove il male evidentemente, elude i posti di blocco del pensiero critico dimostrando scarsissima ironia. Per questo somiglia più a un benedettino dell’antimafia, uno Jorge da Burgos.
Ma un’alternativa c’è e non parlo di Sciascia (si può anche dire: combatti la fiamma viva con la fiamma viva, non con la fiamma morta). Si chiama Ottavio Cappellani, ma fare il curriculum degli scrittori è come togliere le mutande al povero sfigato al centro dell’aula magna o durante la festa del liceo, e io a Cappellani voglio bene, quindi gli evito questo imbarazzo (glielo evito un po’, perché qualcosa vi dico: per esempio della recensione di David Leavitt al suo Sicilian Tragedi sul New York Times; o all’amicizia con Manlio Sgalambro). Non vi citerò nessuna sua frase sulla mafia, magari scritta in modo didattico, con il soggetto (MAFIA) all’inizio della frase. Diffidate di chi estrapola a piacere citazioni dai romanzi, che non sono raccolte di aforismi. Non sono vostra mamma, non devo dirvi cosa leggere. Ma ora, se già non era così, e se vi fidate, sapete che c’è anche altro, in libreria, che non è Saviano, e i soldi per L’amore non muore mai potreste usarli per farvi del meglio (perché comunque vi fareste del bene a comprarvi qualcosa da leggere, pure Saviano; ma con Cappellani vi fareste del meglio; comparativo assoluto). Prendetela come spinta alla disobbedienza civile o letteraria. Se vi interessa capire il potere dovete cercare la “feroce / forza” di cui abbiamo parlato, non la pantomima con pistole e buoni sentimenti. Se esiste davvero una teologia politica per la mafia, la troverete in Cappellani (e in Sciascia; e in Manzoni, dove la Provvidenza, se secolarizzata, produce i Don Rodrigo e i Don Abbondio, cioè quelli che vogliono sostituirsi a lei e i pavidi che li accomodano).