Da sinistra, dice qualcuno, c’è una certa arroganza intellettuale nei confronti della destra. Una spocchia che si rifletterebbe anche nel dibattito giornalistico. Davvero gli opinionisti destrorsi sono tutti impresentabili o incompetenti? “Non è vero, o è vero solo in parte. Esistono varie tipologie”, ha scritto Andrea Scanzi. La firma del Fatto ha stilato l’elenco di tutte le “sfumature di meloniani”, una lista di “ismi” in cui rientrerebbero molte delle figure che siamo abituati a vedere nei talk, a leggere sui quotidiani più importanti, intercettare sui social. Il primo: “Sechismo. Branca del pensiero che, di fatto, rinuncia al pensiero stesso per difendere sempre e comunque la Meloni. Discutere con un sechista è del tutto inutile, perché lui-appunto- non pensa ma tifa. Non argomenta ma celebra (o insulta)”. C’è poi il “bocchinismo”, cioè la variante “più incarognita e compiaciuta del sechismo. Il bocchinista (con rispetto parlando) si vanta del suo essere sgradevole, schierato e malamente curvaiolo. Il giornalismo dovrebbe essere cane da guardia della democrazia azzannando il potere, ma il bocchinista rovescia con sadismo tale precetto, divenendo zelante cane da riporto del potere contro qualsivoglia contrappeso democratico”. Si passa al “sallustismo”, ovvero la “Deriva moscia, caricaturale, abbrutita e sommamente vuota dei ‘pensieri’ precedenti”, e al Belpietrismo: quest’ultimo consiste nella “sfumatura più puntata e preparata del giornalismo di destra italiano. Spesso sopra le righe, provocatorio, teo-con, (ahilui) no-vax e maramaldo, deliberatamente scorretto e puntualmente opposto a qualsivoglia afflato woke, il belpietrista - così come la sua versione più giovanile borgonovista - ha un grande pregio che manca alle altre correnti destrorse: è preparato”. Insomma, almeno hanno studiato, suggerisce Scanzi nel suo articolo per Il Fatto Quotidiano. La lista prosegue.


“Giordanismo. Per tanti versi simile al belpietrista, aggiunge a ciò una propensione teatrale e gigiona nell'approccio televisivo (soprattutto quando conduce). È munito di autocritica e, come il belpietrista, ha molte idiosincrasie: tra queste, i renziani e i professionisti dell'antifascismo di facciata”. Si va verso la chiusura. Gli ultimi due “ismi” sono il “crucianismo” e il “fusanismo”. L’esponente della prima “corrente” è “unicamente interessato al far parlare di sé, e in questo (soprattutto in radio) e bravissimo. La politica gli interessa solo in funzione del poter allargare la sua fama. Furbino, bastian contrario per interesse, scaltro come pochi, abilissimo nel trollare i media e il prossimo”, talmente attento al sesso che se potesse parlerebbe solo di feticismo, sadomaso e OnlyFans. Ea pensarci bene sarebbe meglio per tutti. Infine, il “fusanismo”, appunto: “Il lettore si stupirà nel vedere citata una categoria così marginale e irrilevante. Il motivo è semplice: da sempre esiste un equivoco, vuoto e insopportabile ‘centrosinistrume’ così respingente da far venir quasi voglia di rivalutare Crosetto”. Di quest’ultimo profilo, stabilisce anche l’epoca di massimo splendore: “Le giuggiole appartenenti al morituro fusanismo hanno vissuto la loro età dell'oro col renzismo, negli anni tragici dal 2014 al 2016, e nonostante il trapasso politico del loro Sire sono ancora lì a tifare Rignano, spalando sterco a casaccio su grillini e sinistra radicale. Ecco: finché l'alternativa a Meloni sarà (anche) gente così, questo governo non cadrà mai”.
