Il giornalista e scrittore Roberto Saviano si racconta con una lucidità disarmante e un senso del tragico che travalica la cronaca. Nell’intervista concessa ad Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera, Saviano apre il cuore e denuncia il prezzo esistenziale del suo impegno: “Io esisto per quello che rappresento, non per quello che sono. La cosa peggiore che può succedere a uno scrittore è diventare un simbolo. Diventi di sasso” – dice, spiegando come la sua notorietà si sia trasformata in una specie di prigione. L’occasione è duplice: l’uscita del suo nuovo libro, L’amore mio non muore e i funerali di Papa Francesco, ai quali ha partecipato: “Il legno di Francesco voleva essere toccato non da persone di potere. È stato sepolto dagli ultimi, per sua volontà”. Lo scrittore a Cazzullo racconta di vivere un momento difficile in cui sente di aver sbagliato tutto e ripercorre alcuni anni passati particolarmente tosti e i drammi familiari legati alla sua scelta sostenendo: “La mia famiglia ha solo pagato. Ha dovuto fronteggiare le insinuazioni: loro figlio, loro nipote aveva diffamato la sua terra….”. Napoli? Sulla sua terra Saviano dice di aver acceso una luce. “E con la luce il cambiamento è possibile. È esplosa la vita”. Tornando indietro negli anni e al suo difficilissimo vissuto: “Nel 2006 avevo ventisei anni. Ero convinto di non arrivare ai trenta, che mi avrebbero ammazzato nel giro di cinque anni”. Una vita quella di Saviano che ha toccato anche l’amore e inevitabilmente ogni rapporto: “Qualsiasi incontro lo devo fare in casa. Se esco, con cinque carabinieri di scorta, non sono certo invisibile. E la visibilità è la fine di ogni gesto intimo”. La solitudine sembra amplificata dunque anche nell’amore: “Nessun sentimento sopravvive alla gabbia”. Con amarezza, aggiunge: “Quando una persona mi vuole bene, il rapporto è sabotato. Lei ti saluta, esce, e tu resti chiuso”.

Anche i processi giudiziari non lasciano tregua: “Mi hanno portato in tribunale il capo del governo, il suo vice Salvini, il ministro Sangiuliano. Con Sangiuliano ho vinto, con la Meloni ho perso, con Salvini i processi sono in corso”. Dalla politica alla scrittura, Saviano fa sapere che sta continuando a scrivere, anche se ammette: “Vorrei interrompere il lavoro. Ma non ci riesco”. E confida a Cazzullo di aver pensato, tra le crisi di panico che fanno lottare la mente e la vita, anche al suicidio. “Quante volte ho pensato: basta, la chiudo qui. Avevo anche deciso. La risposta del mio corpo fu una scarica di nervi. E sono crollato. Mi ero messo davanti allo specchio. E capii che la soluzione non era quella”. Poi, sempre nell'intervista sul quotidiano, leggiamo di un suo desiderio folle, quasi liberatorio: “Sparire. Un me diverso, in giro per il mondo, pieno di capelli, con un altro nome”. Un’amarezza che sembra senza uscita, in un Paese che, secondo lui, prima mitizza e poi distrugge: “In Italia diciamo: tu devi cadere come me”. Eppure, anche nel baratro, resta un barlume di resistenza. Come diceva l’amica e amata scrittrice femminista Michela Murgia, scomparsa di recente: “Ogni scelta d’amore ha il diritto d’essere riconosciuta e non subire stigma”. Parole che Saviano sente ancora vive anche se non trova più la Murgia dov’era ma “so che ovunque io vada è con me”.
