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Beniamino Zuncheddu esce dal carcere dopo trent’anni da innocente: era stato condannato per una testimonianza dell’unico sopravvissuto. È quello che accadrà a Rosa e Olindo?

  • di Anna Vagli Anna Vagli

27 gennaio 2024

Beniamino Zuncheddu esce dal carcere dopo trent’anni da innocente: era stato condannato per una testimonianza dell’unico sopravvissuto. È quello che accadrà a Rosa e Olindo?
Basta davvero la testimonianza di un sopravvissuto per essere condannati all’ergastolo? È successo a Beniamino Zuncheddu, che dopo trentatré anni di carcere è tornato libero. Luigi Pinna, l’unico superstite della strage ha ammesso di essere stato influenzato nell’identificare l’assassino dall’agente di polizia che condusse le indagini. Errore giudiziario che rischia di ripetersi con il caso di Rosa e Olindo, a processo sulla base della testimonianza di un sopravvissuto?

di Anna Vagli Anna Vagli

Basare una condanna penale, ancor di più se ci muoviamo nel campo dell’ergastolo, su di una testimonianza è una pratica pericolosa e suscettibile di gravi conseguenze. La cronaca giudiziaria ce lo dimostra. Ma mentre la partita di Erba è ancora da (ri)giocare, Beniamino Zuncheddu è un uomo libero. Ha passato più anni in galera che in libertà nella sua vita visto che è entrato in carcere da ventisettenne e ne è uscito da cinquantanovenne. Zuncheddu era stato condannato all’ergastolo come unico responsabile della strage del Sinnai in base alla testimonianza estorta all’unico sopravvissuto. Non vi sembra un finale familiare? La strage del Sinnai è stata compiuta l’8 gennaio 1991 e in essa hanno perso la vita Gesuino Fadda, 56 anni, suo figlio Giuseppe, di 24, e il dipendente Ignazio Pusceddu, 55, mentre il genero di Fadda, Luigi Pinna, 29 anni, rimase ferito. Le indagini hanno seguito immediatamente la pista di una faida tra famiglie di pastori, a causa delle tensioni tra i Fadda e gli Zuncheddu, culminate anche in atti dimostrativi come l'uccisione di animali. La testimonianza cruciale per l’arresto e la successiva condanna di Zuncheddu, è stata quella dell’unico sopravvissuto Luigi Pinna, marito della figlia di una delle vittime. Pinna, inizialmente interrogato, aveva affermato di non poter riconoscere l'aggressore perché aveva in testa una calza e quindi non lo aveva visto in volto. Per poi successivamente cambiare versione e accusare Zuncheddu. E il cambiamento di versione, come attestato nel processo di revisione, è arrivato dopo che Pinna si interfacciato con il poliziotto Mario Uda. Quest’ultimo avrebbe mostrato al testimone, prima dell'interrogatorio, una foto di Zuncheddu, indicandolo come il colpevole degli omicidi. Quindi Pinna avrebbe confermato quanto suggeritogli dal poliziotto. Sarà successa la stessa cosa anche con Mario Frigerio, il super testimone della strage di Erba? Anche in quel caso il copione è stato lo stesso. Ed anche in quel caso avevamo a che fare con le dichiarazioni di un teste vittima. La cui memoria è per definizione malleabile e spesso fallibile.

Beniamino Zuncheddu riabbraccia la famiglia dopo trentatré anni di carcere
Beniamino Zuncheddu riabbraccia la famiglia dopo trentatré anni di carcere

Un problema quanto mai attuale. Da sempre sono una sostenitrice dell’importanza delle prove scientifiche nel processo penale piuttosto che delle testimonianze. Perché le prime sono oggettive e dimostrabili. Le seconde soggettive e dannatamente aleatorie. La storia dell’ex pastore, finalmente assolto dopo trentatré anni di carcere per la strage del Sinnai, getta una luce implacabile sulla fragilità di queste ultime nei tribunali. Per questo, la decisione della Corte d'Appello di Roma non deve essere letta solamente come la fine di un incubo per Zuncheddu, ma anche come un monito sul pericolo di basare condanne all'ergastolo su elementi così soggettivi. Sì, elementi. Perché io non mi sento nemmeno più di qualificarli come resoconti testimoniali. Luigi Pinna, l'unico superstite della strage e chiave di volta nella condanna dell’uomo, ha ammesso di essere stato influenzato dall'agente di polizia che condusse le indagini. Un vortice di menzogne durato tre decenni e che ha privato della libertà personale un uomo innocente. Beniamino aveva ventisette anni. È entrato da giovane in galera e ne è uscito da uomo di mezza età. Chi gli darà indietro gli anni persi? Certo, ci sarà un risarcimento che di regola dovrà essere milionario. Ma davvero credete che i soldi, da capire poi in che tempi verrà risarcito visto che siamo in Italia, potranno mai equivalere a riprendersi trentatré anni di vita vera? La realtà carceraria è tremenda anche per chi deve pagare per aver sbagliato. Pensate per un innocente che si trova a dividere spazio e tempo con chi assassino lo è stato davvero. Credo che ci vorrebbe più consapevolezza, e questo lo dico in generale, anche tra gli addetti ai lavori. Una consapevolezza magari acquisita attraverso visite periodiche nei penitenziari. Vite al limite. Provate ad immaginare di essere accusati ingiustamente di una strage, proprio come è successo all’ex pastore, ed essere reclusi sulla base delle parole di un testimone che non sa di che cosa sta parlando. Eppure, nonostante questo, perdete il bene più prezioso. La vostra libertà. Il procuratore generale Francesco Piantoni, nel suo intervento, non ha esitato a sottolineare la mancanza di affidabilità di Pinna, evidenziando come il suo travisamento abbia viziato l’intero processo. La strage del Sinnai, consumatasi in pochi minuti, ha avuto conseguenze durature sulla vita di Zuncheddu. La requisitoria del procuratore generale ha dunque messo in discussione non solo la credibilità di Pinna, ma ha anche sollevato dubbi sul movente e sull'alibi dell'imputato. Un clamoroso errore giudiziario che pone l'attenzione sulla necessità di una riforma del sistema giustizia. La testimonianza, sebbene importante, non può essere l'unico pilastro su cui poggiano condanne così gravi. Ce ne vogliamo fare una ragione o no? Non possiamo permettere per comodità alle testimonianze di pilotare sempre le indagini. Per questo, tra una testimonianza ed un riscontro scientifico prediligo sempre quest’ultimo. Il perché non è difficile comprenderlo. Il carattere tangibile, misurabile e resistente nel tempo delle prove scientifiche offre un ancoraggio oggettivo che si erge contro le distorsioni della memoria e le interpretazioni influenzate da fattori personali. Ai posteri (speriamo) l’ardua nuova sentenza. Quella di un’altra strage, commessa ad Erba l’11 dicembre 2006.

Rosa e Olindo durante un servizio de Le Iene
Rosa e Olindo

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