Una Berlinguer che lavora per i Berlusconi: forse ora le abbiamo viste tutte. Bianca, figlia di Enrico, il segretario del Partito Comunista Italiano rimasto comunista tutta la vita, dovrebbe passare a Mediaset dopo le dimissioni fresche di giornata da direttrice del Tg3 e conduttrice del talk Cartabianca. Le era venuto un diavolo per capello per la concorrenza al suo programma, tutta interna ai palinsesti Rai con Belve di Francesca Fagnani e poi Boomerissima di Alessia Marcuzzi. Se le reti del Biscione dovessero affidarle una trasmissione simile, nella serata del martedì, come motivazione si rivelerebbe deboluccia. Sia come sia, se la notizia sarà confermata, e basta attendere domani pomeriggio alla presentazione della prossima stagione Mediaset, sapremo presto quali ponti d’oro, nel senso letterale di compenso e relativi accordi, può aver offerto Piersilvio Berlusconi alla giornalista pur di portarla a Cologno Monzese e farle rifiutare la controfferta di mamma Rai: si dice un aumento di stipendio rispetto ai 240 mila della Rai, condito magari da un bel contratto fino alla pensione, che le scatterà fra tre anni.
Quel che già è storicizzabile agli atti è che una con la storia, personale e professionale, di Bianca Berlinguer, il cui destino a sinistra le è inscritto fin dal cognome, preferisce alla tv pubblica, di cui fra l’altro è stata fino a oggi una dirigente, la tv privata fondata da Silvio Berlusconi, che alla sinistra e al comunismo (nella sua visione, la stessa identica cosa) aveva fatto una missione di vita. Per carità, può essere che la dipartita del padre abbia facilitato a Piersilvio il colpaccio simbolico. Ma anche no: è risaputo che il trapassato negli ultimi mesi avrebbe voluto il ritorno nelle sue televisioni di Michele Santoro, che quanto a sinistrismo è ben più radicale della Berlinguer (al punto da essere ormai da anni, lui ex europarlamentare dell’Ulivo, un cane sciolto, criticissimo con il Pd e anche con il M5S).
È caduto il Muro di Berlino, insomma, nel regno che fu di Berlusconi senior. In passato era in voga la teoria della foglia di fico, per cui il Cavaliere furbamente si avvaleva di fior di giornalisti e conduttori catalogati a sinistra, o comunque non schierati a destra, da Enrico Mentana e Maurizio Costanzo risalendo fino a Giorgio Bocca, per bilanciare l’impianto culturale decisamente american style e turbo-consumista, per non parlare delle altre firme più berlusconiane di Berlusconi, da Emilio Fede a Paolo Liguori. Ma una giornalista così etichettata e cognomata a sinistra, questo non era accaduto mai. Segno che è davvero finita un’era, quella legata ancora alle battute finali del Novecento, e soprattutto che l’erede Piersilvio intende fare sul serio nel cambio di indirizzo “culturale”, che vuole meno ingolfato dal trash ed evidentemente, rispetto alla batteria di talk show tutti più o meno governativi, più plurale. Di qui, da un lato il benservito a Barbara D’Urso e al suo Pomeriggio 5, alla sua tv del dolore, e ogni tanto della rissa, “fatta col cuore”, che non fa battere quello del proprietario, nonostante appena un mese fa l’azienda si congratulasse con lei per “gli ascolti in crescita”; dall’altro lato, la mossa del cavallo rispetto a una Rai egemonizzata dalla destra al potere (salvo qualche intelligente conferma, come Report, o apertura verso i 5 Stelle, come parrebbe dal ritorno di Luisella Costamagna con il suo Tango, in previsione per la seconda serata di Rai 2), spiazzando tutti con una new entry, la Berlinguer, che a sua volta spiazza il proprio pubblico trasferendosi nel campo storicamente avversario. Le ideologie erano già morte e rimorte, e ora anche i residui tabù non si sentono più bene. Del resto, pecunia non olet, e tutto ciò che ne consegue.
Ecco, piuttosto, come faceva notare quest’oggi il critico televisivo Aldo Grasso sul Corriere della Sera, i risultati in termini di share di Cartabianca “non sono mai stati esaltanti”, lei stessa non ha mai dato prova di particolare brillantezza (“rigida, incapace di improvvisare”), il prodotto ha sempre mostrato “una certa supponenza e poco altro”. In parole povere: va bene l’operazione di restyling caldeggiata da Berlusconi junior, però in questo caso mancherebbe proprio la sostanza. Forse la spiegazione non sta là dove la cerca Grasso, ovvero nella tecnicalità catodica, negli ascolti e nella pura raccolta pubblicitaria, e nemmeno nell’assenza di agilità di conduzione o altri fattori prettamente editoriali ed economici. O almeno, non nell’immediato. Può darsi che Mediaset, allargando il parterre di volti a uno così marcato e, fra l’altro, come ricorda lo stesso Grasso, con la “grave responsabilità” di aver dato fama ad un controverso commentatore come Alessandro Orsini, desideri provare a realizzare quel che in fondo dovrebbe essere il suo naturale compito: competere con la Rai. Ma non esclusivamente negli indici di messa in onda: anche politicamente.
La Rai, difatti, è attualmente, per buoni quattro quinti, meloniana o in fase di melonizzazione. In più la Meloni, nella carta stampata, può contare ora anche sul Giornale ex di famiglia, per i Berlusconi rimasti nell’azionariato solo con una quota minoritaria. Cioè, praticamente, la premier ha già in mano tutto quel che poteva avere. Mediaset, quindi, una volta assicurata una linea sostanzialmente filo-Palazzo Chigi nell’insieme, può tentar di porta via una fetta di target a Viale Mazzini. E se la Berlinguer non sbancherà lo share, pazienza: si vede che disporre di una “disturbatrice” - o foglia di fico gigante, che dir si voglia – può risultare più utile, nei futuri equilibri di potere. Come ognun sa fra coloro che bazzicano il potere, quello vero si pesa. Non si conta. O non solo.