Dal settembre 2022, Claudio Brachino è direttore del giornale su carta Il Settimanale lanciato dal gruppo Triboo, leader nell’e-commerce e nell’analisi dei dati in Rete, proprietario del sito Pmi.it. E infatti la missione editoriale, abbinando versante online e cartaceo, è di essere il punto di riferimento di quel variegatissimo cosmo che compone l’imprenditoria diffusa italiana, che numericamente equivale alla quasi totalità delle aziende del Paese. Volto notissimo come anchorman televisivo, 32 anni passati in Fininvest-Mediaset, Brachino è un giornalista politico impegnato ora a dare voce a un mondo, quello delle pmi, “complicatissimo”. Multitasking, è anche responsabile di fatto della sezione multimediale dell’agenzia Italpress. Dal suo osservatorio, e dalle parole dell’interviste che segue, il mood di fondo sembra coincidere con una, in particolare: pragmatismo. Sulla guerra in Ucraina, ad esempio, dove sostiene papale papale che occorra quanto meno tener presente il punto di vista russo. O sul destino del centrodestra, e soprattutto di Forza Italia, che vede più probabilmente finire in pancia al partito tendenzialmente unico a cui sta lavorando la premier Giorgia Meloni. O sulla categoria di cui facciamo parte, i giornalisti i quali, a suo parere, quanto meno nei giovani, non rappresentano una casta privilegiata.
Direttore, hai già spiegato che lanciarsi in un giornale cartaceo, in questo periodo storico non esattamente favorevole alla vecchia carta stampata, serve per avere “autorevolezza politica”. Puoi spiegarmela meglio?
A settembre facciamo un anno, l’8 settembre festeggeremo il compleanno. L’editore ha fatto molto successo nel web, prima nell’e-commerce, poi ha cominciato a comprare siti, come Pmi.it, che forse è il principale punto di riferimento del mondo delle piccole e medie imprese. Per far crescere questo mondo, c’è bisogno di un magazine più colto, più raffinato, più elaborato, dandogli un formato stampato, perché i giornali vanno nelle rassegne stampa, sia quotidiani che settimanali. Sono un po’ la grammatica del sentiment e dell’autorevolezza politica, le edicole del Paese diciamo. Gli imprenditori si alzano presto la mattina e leggono i titoli, che poi dettano l’agenda sui social, in cui si creano le discussioni. È un fatto di percezione, per cui poi quando ti presenti e porti il cartaceo per un’intervista, poi se la vuole rivedere, la vuole percepire, sfogliare, “toccare”. La carta, anche se in crisi per tanti motivi, non morirà mai, io l’ho sempre detto. Certo non avrà i numeri di un tempo, ma resterà, perché permette questo tipo di percezione. Internet, con tutti i vantaggi che ha, resta comunque un po’ complicato da leggere. Questo non vuol dire che il giornalismo su Internet non possa avere la sua autorevolezza, che in assoluto dipende dalla qualità di quello che scrivi, ma la parola scritta rimane universalmente un punto di riferimento per l’opinione pubblica. Negli Stati Uniti negli ultimi vent’anni sono nati molti siti e ne sono morti altrettanti, quelli rimasti sono simili alle testate di carta stampata, con un marchio, per cui sai che le notizie sono fatte da professionisti, e questo lo percepisci. Il lettore cerca la credibilità.
Hai lavorato molti anni a Mediaset, e hai detto e scritto di aver voluto bene a Silvio Berlusconi, sostenendo che in sostanza l’eredità politica dell’ex leader di Forza Italia è passata a Giorgia Meloni. C’è chi invece chi pensa che gli unici eredi veri non possano essere che i figli, chissà con un domani in politica. Oppure c’è chi ritiene che l’erede sia Matteo Renzi, per la sua personalità e anche per i recenti segnali che danno Italia Viva sempre più vicina al centrodestra. Chi è il vero erede di Berlusconi?
Io sono arrivato in Finivest nel 1987, ho visto la nascita di Forza Italia, e mi sono permesso di dire che, nel corso del tempo, specie dopo le elezioni europee dell’anno prossimo, perché quest’anno ci sarà una governance con Tajani, con il consenso dei figli di Berlusconi che detengono il marchio, se nasce il grande partito conservatore repubblicano italiano, Forza Italia possa confluire in gran parte lì dentro. Non sarà una cosa meccanica, ovviamente. Rispetto a Renzi, sì, piaceva a Berlusconi, fra i due ci fu un dialogo, che però si interruppe con l’elezione del Presidente della Repubblica. Mi pare che oggi Italia Viva (non parlerei più di Terzo Polo) abbia idee, sulla realtà, sull’economia, sulla giustizia simili, o su una frequenza simile, però su Renzi erede, io ci credo poco. Forza Italia o resterà come partito a sé, certo sentendo l’assenza del leader (detto senza giudizi di valore sull’attuale dirigenza), oppure confluirà nel partito conservatore. Con una Lega che diventerebbe la destra del centrodestra, ma con una vocazione soprattutto federalista, il partito dei governatori, il partito delle autonomie. Quanto ai figli, non ce li vedo in politica. Non mi sembra vogliano venire meno a una vocazione imprenditoriale e manageriale che è la loro.
Sì, e da imprenditori e manager devono risolvere il problema dei debiti di Forza Italia.
Quello se la vedranno loro, affari loro.
A proposito di editori e di partito conservatore: l’operazione degli Angelucci di acquistare il Giornale che era dei Berlusconi, sommandolo a Libero e Tempo, va nella direzione di un gruppo mediatico d’appoggio al disegno meloniano, no?
Non conosco gli Angelucci, non so adesso quali siano le strategie dietro. Quel che posso percepire io, anche da editorialista politico del Giornale, su cui scrivo dal 2017, è che, con l’acquisizione del Giornale, storica testata fondata da Montanelli, gli Angelucci daranno vita a un polo di riferimento. Bisognerà vedere quel che succede da settembre: si dice – si dice, eh – che al Giornale tornerà Sallusti…
…e Mario Sechi alla direzione di Libero.
Si dice. Nel nostro mondo è come nel calciomercato: le cose possono cambiare all’ultimo momento. Quando la situazione si assesterà e si saranno insediati i direttori, con le linee editoriali che detteranno, vedremo questa galassia come prenderà forma. Certo è che, come hai detto tu, sembrerebbe poter essere il polo editoriale del nuovo centrodestra nel suo complesso, con le varie sensibilità. Quindi, a trazione meloniana, ma con attenzione alla Lega e anche a Forza Italia, perché i Berlusconi, con Paolo, restano al 30% nel Giornale. Sicuramente, così come a Gedi con la famiglia Agnelli-Elkann è un polo giornalistico che si oppone fortemente al governo Meloni, la logica del gruppo Angelucci mi pare possa essere d’appoggio a questo nuovo centrodestra che si appresta a governare più o meno per una legislatura.
A febbraio hai inaugurato una trasmissione di approfondimento settimanale per l’agenzia Italpress, “Radio Odessa”, con Ugo Poletti in collegamento dalla città ucraina. Dopo un anno e mezzo di guerra, possiamo dire che aveva ragione Berlusconi su Putin? O meglio, che faceva considerazioni quanto meno ragionevoli, sull’imprescindibilità di un compromesso?
Radio Odessa è una delle iniziative del multimediale di Italpress, di cui sono responsabile de facto anche se formalmente sono editorialista esterno, ma ho fatto nascere Primo Piano per la politica, Italpress Economy, e da febbraio Radio Odessa. È una vera e propria corrispondenza, si chiama così ispirandosi a Radio Londra, una voce dall’Ucraina per approfondire tutte le notizie, cercando di interpretare tutti i punti di vista, non solo quello ucraino. Cos’è che non va spesso nel racconto di questa guerra? Che c’è una narrazione unica. Questo lo dicono grandi giornalisti come Santoro, o come Capuozzo, che è stato mio collega e, fra virgolette, “dipendente” a Videonews, con tutta l’indipendenza intellettuale di un gran giornalista come lui. Si è raccontato solo un punto di vista e criminalizzato l’altro? Lì Berlusconi con le sue uscita voleva dire, nel senso profondo, che non bisogna staccare del tutto la possibilità di dialogo con Putin, sia non per schiacciare troppo una Russia europea verso la Cina, sia per una trattativa di pace, che è il sogno di tutti noi. Un’interlocuzione bisogna trovarla. A Poletti, dopo la sua corrispondenza, chiedo sempre, infatti: e la pace? E lui mi risponde che anche Zelenskij ha un’autonomia limitata, non solo perché è dipendente dagli alleati soprattutto americani, ma anche perché il suo stesso popolo chiede il recupero delle terre che con considerano loro. Il rischio vero è che una guerra così vada avanti per dieci anni, con il pericolo che un matto, un giorno, da una parte o dall’altra, scateni la terza mondiale atomica, cioè la fine dell’homo sapiens. Ecco, in questo secondo me bisogna raccontare al pubblico anche l’altro punto di vista, anche i difetti degli ucraini in alcune questioni, e cercare la via della pace trovando un compromesso, con entrambi i contendenti che al tavolo devono perdere qualcosa. Sai, in Italia c’è sempre il muro contro muro e non si può mai parlare bene dell’avversario, ma quella sua visione della politica estera, che ora magari non si potrebbe perseguire perché ci sono stati i morti e i rapporti si sono guastati, ricercava un punto di equilibrio che è fondamentale.
Prima, direttore, citavi Santoro, che potrebbe avere una presenza fissa nel futuro talk show di Bianca Berlinguer a Rete 4. Sono caduti davvero i muri, nella tv italiana?
Se l’offerta televisiva diventa più ricca, più polifonica, che male c’è? Io nel 1996 conducevo Studio Aperto, e venne Santoro a condurre un programma in seconda serata, che si chiamava Moby Dick. Noi eravamo un tg molto di costume ma con una linea editoriale molto berlusconiana, il direttore era Paolo Liguori, e convivevamo nella stessa rete. In anni molto turbolenti. Stiamo parlando insomma di cose che nella televisione sono accadute, e che devono accadere. I muri sono caduti? Qualche volta sì, qualche volta no. Ci sono poli che spingono più da una parte o da un’altra. A Mediaset, dove ho fatto 23 anni di dirigenza, quasi un quarto di secolo, dal 1996 in poi abbiamo fatto riferimento al presidente Fedele Confalonieri, e il punto fondamentale che ripeteva era la polifonia: un’azienda commerciale deve dare voce a tutti. Io non ho mai pagato un euro di multa all’Agcom. Certo che se veniva ospite il fondatore, era difficile stare lì con il bilancino. Ma il giorno dopo chiamava l’avvocato con la penna segnando qui e lì cosa c’era da riequilibrare, dando spazio a tutti i partiti, tutti i leader. Ma com’è giusto. Ché poi negli ultimi anni Rete 4 sia stata più orientata a centrodestra, come La 7 a centrosinistra, questo è vero, ma allora ha fatto bene Piersilvio a scombinare le carte con la Berlinguer, e va bene che ci vada anche Santoro, vivaddio.
Se gli ultimi trent’anni sono stati segnati dal berlusconismo, gli ultimi venti, o quasi, lo sono stati dalla sollevazione anti-casta e dal grillismo. Poi però oggi un Piero Fassino rivendica il proprio stipendio da parlamentare. Non è che gli italiani, che s’indignano facile, sotto sotto poi lasciano correre? O vedi potenziali fuochi di futura protesta all’orizzonte?
Anzitutto, su Fassino, diciamo che nel merito ha detto una cosa che va contro a tanti pregiudizi. Sono di sicuro grandi numeri, e quindi nel momento in cui si discute di salario minimo, di reddito di cittadinanza, di 41% di italiani che non va in vacanza, di carovita e di inflazione, è un’uscita impopolare. Tanto è vero che la Schlein poi ha puntualizzato che Fassino parlava a titolo personale. In politica c’è anche il tempismo di cui tener conto. Come Nordio che parla di dare una stretta alle intercettazioni, il giorno dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro catturato grazie alle intercettazioni. Stessa cosa per Fassino: come si fa fare un ragionamento laico in questo momento? A me del vento anti-casta me ne frega poco, non ha portato niente di buono, secondo me. Anzi, ha portato tante scemenze. In Italia ci sono tante caste, a cominciare dai magistrati.
O dai giornalisti.
Ma non è vero, non diciamo stupidaggini. Ci sono giovani che si avvicinano al mestiere, e io sono contenti nel mio giornale di pagarli adeguatamente, mi raccontano che prendono cifre per cui vanno via di casa a quarant’anni. Poi ci sarà qualche caso, qualche star, ma parliamo dei giovani, della categoria, che non è fatta di privilegiati. Ma tornando alla politica, se la fai bene, se ti impegni, dev’essere pagata il giusto. Se va a finire che i soldi li vai a prendere da un’altra parte, magari nell’illegalità, oppure te la puoi permettere solo se sei ricco. Se la politica è un mestiere, che venga pagata il giusto. Con tutte le voci adeguate, per pagare i tuoi assistenti, per ricerche e documentazione, eccetera. Sto facendo un discorso impopolare, lo so, alla gente non gliene frega niente, ma alla fine non capisce bene cosa fanno veramente i politici. E qui c’è il vero tema, che è ormai il 50% degli astenuti, che a votare non ci vanno perché pensano sia inutile. Io la trovo una cosa molto pericolosa non per la casta dei politici, ma per la democrazia, cioè per tutti i cittadini. Se i rappresentanti vengono eletti con appena il 40% degli elettori, come nelle amministrative, quella sì è oligarchia. Per questo la politica deve tornare credibile, e non avere sempre addosso queste polemiche ideologiche che inducono ad avere un giudizio troppo qualunquistico.
Non è che invece un’astensione così alta faccia comodo all’oligarchia?
Mah, sai, la democrazia si regge anche sui numeri. Se vengo eletto con il 30% dei votanti, è ancora legittimo, ma non è più democrazia. I giovani non votano, non leggono, o forse hanno interessi per cui la politica non viene più considerata essenziale, a partire dalla qualità della vita o i diritti? C’è tutto un mondo nuovo che la politica deve comprendere, deve rispettare e deve saper coinvolgere. Questo è il mandato della politica, più che quanto prendono o meno i parlamentari. È su questo che si misura la sua autorevolezza.
Ultima domanda, d’obbligo per il direttore di una testata portavoce della piccola e media imprenditoria: che giudizio dai dell’operato dei primi dieci mesi di governo Meloni sotto questo punto di vista, ammesso abbia operato a sufficienza?
Ha operato qua e là, ci sono delle voci nella riforma fiscale. Dicono gli imprenditori che abbiamo sentito, come parte della associazioni - parliamo del 98% delle aziende italiane, molte delle quali piccolissime e non solo al Nord, con un lavoro giornalistico di interfaccia molto pesante – che questo governo sta cominciando a discutere ai tavoli sui problemi per loro pressanti, cioè burocrazia, fisco troppo severo, troppe tasse, troppe balle negli anni sul cuneo fiscale. Una cosa molto in embrione, ma pare che l’attenzione di questo governo, per questo mondo complicatissimo, ci sia.