Un popolo di santi, poeti e bestemmiatori. Rispettivamente pochi i primi, sconosciuti i secondi e trend topic gli ultimi, perché sui social gli ultimi sono davvero i primi ed ecco allora Gianluigi Buffon tornare in classifica per pensieri, parole, opere e omissioni. Opere e omissioni, sabato scorso, sono state rappresentate dal liscio e dal mancato recupero con cui l’attuale portiere del Parma ha regalato la rete al Perugia, pensieri e parole – queste ultime soprattutto – le hanno pescate le telecamere: bestemmione comme d’habitude in diretta, labiale evidentissimo, trasformato poi in ralenti, loop, meme e reso eterno. Un veterano, Buffon, che talvolta cambia il riff ma ha un repertorio originale quanto gli album di Ligabue: sbaglia? Bestemmia. Poi spesso viene deferito, a volte no, in qualche occasione viene squalificato, in tante no, e in altre si fa finta di niente mentre i social amplificano il tutto.
Bello non è, educato neppure, di buon esempio figurarsi, urta piuttosto sensibilmente le coscienze ma i campi di calcio – ma pure le piscine della pallanuoto, come hanno potuto verificare in Rai durante un time out di Brescia-Ortigia di metà marzo – non sono mai stati luoghi per salmodianti (“scivola per l’agonismo che ci mette in campo, quando capita è il primo a rimanerci male”, tentò di assolverlo un giorno Ilaria D’Amico), eppure da quando le telecamere sono ovunque magari succede anche meno che in passato, ma la percezione è opposta. Così, a seconda dell’importanza del personaggio o del livello di indignazione della giornata, c’è chi si prende lo stigma e la squalifica (Cosmi, Paolo Zanetti, Frattesi, Cristante, Lazzari, ma l’elenco è lungo) e chi la fa franca.
Sui campi, in tv, nelle dirette. A Claudio Locatelli, freelance di guerra oggi in Ucraina, è uscita quale reazione a un colpo di mortaio esploso a poca distanza, che è un po’ più grave di un gol subito, e hanno iniziato a rinfacciarglielo senza nemmeno rendersi conto del contesto, quando al contrario la bestemmia gratuita impera in svariate live di gamer su Twitch, piattaforma giovane oltre la frontiera del tabù, ma lì va bene a tutti.
Un po’ meno nei reality, ma è un discorso ipocrita: isole, case, fattorie, lì si squalifica secondo un regolamento scritto per ripulirsi l’immagine, ben sapendo che invece il blasfemo fa comodo perché fa audience, aumenta esponenzialmente le interazioni sui social, è una manna per i second screen, polarizza. Rischio calcolatissimo e probabilmente pure cercato, perché se sai fare televisione sai anche chi metti sotto contratto. Se davvero non vuoi la bestemmia, non chiami chi tende ad incapparvi, perché il discorso è semplice: esiste chi non bestemmia mai e chi bestemmia parecchio. Questione di sensibilità personale, di civiltà, di educazione che a volte si mischia a – si mischia a, non è dovuta a – un retroterra gergale territoriale, perché da alcune parti la bestemmia è intercalare, virgola e rafforzativo e paradossalmente non ha nemmeno l’intento blasfemo che pure è acclarato nel significante.
Roberto Da Crema, Silvano Michetti, Marco Predolin, Massimo Ceccherini, qualche nome fra i tanti, trattati comunque in maniera diversa – uno non vale uno, sono balle – perché la gravità la decide il rumore di fondo, ma sono buffetti, mentre negli anni Ottanta c’è chi si è rovinato la carriera per una bestemmia in diretta Rai. Ed era una signora carriera: quella di Leopoldo Mastelloni, che fu pure denunciato perché all’epoca (1984, accadde nella trasmissione “Blitz” di Gianni Minà) la bestemmia era reato. Non lo è più dal 1999, ma non è che da allora profumi di violetta.