Alle nostre fonti – due giornalisti piacentini di razza che hanno visto la città cambiare volto anno dopo anno – chiediamo solo di non soffermarci troppo su quei “bei tempi andati” così difficili da definire. “Quella è un’espressione – fa notare uno dei due – sulla quale è complicato trovare convergenze assolute”. “Piacenza era certo diversa, anni fa, ma è cambiata da tempo, non da ieri sera. E ha seguito le orme di un cambiamento epocale che ha riguardato l’intero Paese”. Preferiscono rimanere anonimi, i due giornalisti. Ciò che scriviamo, “da esterni”, probabilmente non sarà gradito alla città, ma le fonti assicurano e rassicurano: “Sì, fare un ragionamento su cosa è diventata Piacenza ha senso. Avrebbe avuto ugualmente senso cinque o dieci anni fa, ma oggi...”. Così cerchiamo di tratteggiare questa bozza di analisi orientati da quel “brutto giro di Piacenza” pronunciato da quei due procuratori che rientrano, almeno come figure informate dei fatti, nella nuova inchiesta sul Calcioscommesse che vede invischiati Nicolò Fagioli, Sandro Tonali e Nicolò Zaniolo. E, in qualche misura, Piacenza.
La Piacenza che scommette(va)
Partiamo da lì, dalle scommesse. Ma presto giungeremo altrove, rispolverando alcuni fatti di cronaca che, quando si parla con i giornalisti del luogo, saltano fuori come spinti da una molla invisibile. “Da noi si è iniziato a dibattere di Calcioscommesse nel 1985, dopo il famoso spareggio Piacenza-Vicenza, a Firenze, per salire in Serie B. All’epoca fu il nostro libero, Reali, a vendersi la partita. Fu incastrato insieme all’acquirente della sua ignobile prestazione, l’allora presidente del Vicenza, Maraschin”, osserva il nerista. “Fino all’inizio degli anni ’90 l’emissario, colui che gestiva le scommesse clandestine, era un tizio che girava i bar della città e che non incrocio più da anni, ma proprio dall’inizio/metà degli anni ‘90 il calcio, così come il Calcioscommesse, è cambiato. E in quegli anni anche la città ha iniziato il suo lungo cambiamento”. I ricordi fluiscono: ““Storicamente Piacenza è sempre stata una città di grandi giocatori d’azzardo. Gente rintanata nei bar chiusi alle 3 di notte. Si giocava a dadi, a poker, alla Teresina. C’erano i ramini progressivi in cui volavano via cifre assurde, in certi casi anche un negozio, un’attività. Erano gli stessi ambienti frequentati, all’epoca, dall’emissario storico del Calcioscommesse”. Mentre parliamo camminiamo per via Colombo. I bar di cui mi parla il nerista si trovavano proprio lungo questa ampia strada che, percorsa in direzione sud, diventa via Emilia Parmense. In direzione opposta ci si avvicina al centro storico, virando invece verso nord si raggiunge il ponte che separa l’Emilia-Romagna dalla Lombardia. Oggi via Colombo, mi riferiscono, è ancora un punto fisso delle cronache cittadine, ma per altri motivi. “Anche in virtù di un bel giro di soldi – e di perdite al gioco – Piacenza ha sempre potuto contare sui cravattari e su un buon giro dei prestiti a strozzo. Quel giro, oggi, è gestito anche dagli stranieri perché la criminalità è multietnica. E non è razzista: i criminali, se c’è da fare un affare – come si dice nel gergo malavitoso –, lo fanno con chiunque. Mi auguro che Fagioli non abbia debiti con quella gente, certo che se qualcuno voleva spezzargli le gambe…”
I bar malfamati nel mondo che cambia
“Ce ne sono parecchi, di bar malfamati”, osserva l’altro giornalista, che chiameremo Paolo, giusto per non confonderlo con “il nerista”. “Tanto è vero che la Questura ogni anno, in base al Testo unico di pubblica sicurezza, ne chiude una quindicina per via del famoso passaggio sul “ritrovo di pregiudicati”. In alcuni bar, di pregiudicati, ne hanno trovati anche una quarantina in un colpo solo”. È l’art. 100 del T.U.L.P.S., “una vecchia norma – interviene il nerista – che risale ancora al periodo del regime fascista. Una norma molto restrittiva, abbastanza ingiusta, che può risultare giusta solo se impugnata con buon senso. Qui mi pare sia stata sempre utilizzata in modo saggio e moderato, nessuno l’ha utilizzata come una clava. Dopodiché se al pregiudicato chiudi il bar, lui risolve tutto spostandosi nel bar vicino”. Che è un po’ il meccanismo dei giardinetti dello spaccio o delle strade della prostituzione presenti in quasi tutta Italia. Sgomberi un’area e il malaffare trasloca. Paolo, a questo punto, ci introduce a osservazioni più circostanziate: “I bar possono essere malfamati, ma a livelli diversi. Quello che accadde, per esempio, quattro anni fa nella zona Peep è piuttosto inquietante perché porta alla mente le “no-go areas” delle città americane e di alcune città europee. Da un bar, al grido “all’attacco!”, uscì un gruppo di venti persone che accerchiarono e spintonarono i poliziotti cercando di liberare il tizio – un 30enne marocchino, pregiudicato – che gli agenti stavano caricando sulla volante”.
Una di quelle notizie che stride con il ricordo-cartolina della Piacenza “ormai andata” di cui parlavamo in apertura. “Andata” già quando esplose Last Bet, l’inchiesta sul Calcioscommesse relativa alla stagione 2010-11, che ha poi portato alla retrocessione del Piacenza Calcio in Prima Divisione nella stagione successiva. Soprattutto a partire da quel periodo, nella piccola città emiliana alle porte di Milano, ne sono capitate parecchie.
La Piacenza del nuovo secolo è anche questa
Una breve rassegna, per punti, che vede Piacenza come nuova protagonista delle cronache: nel 2014 Gianluca Civardi e Paolo “Il Cobra” Grassi sono gli autori, in trasferta a Milano, del “delitto del trolley”, l’efferato omicidio di Adriano Maresco, professore 77enne in pensione (peraltro compagno di classe di Silvio Berlusconi al liceo classico dei salesiani). Il fatto non suscita il morboso interesse scatenato da analoghi eventi solo perché Civardi e Grassi, nonostante la minuziosa pianificazione di ogni gesto (eviscerazione del corpo inclusa), vengono intercettati subito. Passa qualche anno di “vecchia Piacenza” (la cittadina che sta per conto proprio, lontano dai clamori) e poi accade di tutto. Nel giugno 2019 Giuseppe Caruso, esponente di Fratelli d’Italia e presidente del Consiglio comunale della città, viene arrestato nell’ambito dell’operazione Grimilde contro presunti appartenenti alla ‘ndrangheta legati alla cosca Grande Aracri. La politica locale prende una botta mai patita prima. Caruso sarà condannato a 12 anni e due mesi. Il nerista, toccata questa tappa del mio oscuro ripasso, ha un sussulto: “Fu un’operazione clamorosa. Qui hanno arrestato anche Nick “mano di gomma”, Nicolino Grande Aracri, che aveva buoni rapporti con Caruso. Nick è stato catturato col vecchio trucco del blackout. Lui era nella sua camera d’albergo e non rispondeva. Così gli fanno saltare la luce, lui scende per vedere cosa succede e gli zompano addosso in cinque”. Ma torniamo all’estate 2019. Dopo il caso Caruso, mezza Italia resta col fiato sospeso per sapere che fine ha fatto la povera Elisa Pomarelli, uccisa da Massimo Sebastiani, latitante per 12 lunghi giorni e poi ritrovato in una cascina nei boschi. L’estate seguente, malgrado il Covid pigliatutto, Piacenza resta nelle cronache nazionali. Questa volta i protagonisti sono i carabinieri della Stazione Levante. Nel luglio 2020, per la prima volta in Italia, una caserma dei carabinieri viene messa sotto sequestro. L’inchiesta della Procura di Piacenza è senza precedenti: misure cautelari per dieci militari, di cui cinque in carcere e uno agli arresti domiciliari, per reati definiti “impressionanti”. Reati che vanno dal traffico di droga all'estorsione, dagli arresti illegali fino alla tortura. Qui interviene Paolo, che mi fa notare come alcuni insigni piacentini, quando il gup Fiammetta Modica depositò le motivazioni della sentenza, anziché preoccuparsi del contenuto di quello scritto, si stizzirono, magari via social. “Una città dalle tante facce – annotava Modica –, spesso vischiosa nei rapporti di potere, con una ricchezza diffusa, un’austera alacrità e un perbenismo imperante talvolta con radicate connessioni con il contesto criminale sommerso legato al mercato degli stupefacenti, della prostituzione e, ma non in ultimo, alla corruzione”. Tombola! Sempre nel 2020, ma questa volta sotto Natale, nuovo record: un cittadino albanese di 56 anni, alla guida di un mezzo pesante proveniente dal Belgio, viene fermato con 43 chili di cocaina per un valore superiore al milione di euro. Non trattandosi di qualche PR della movida milanese, fu subito escluso l’uso personale. Di qualche settimana fa la condanna del camionista a 12 anni di reclusione.
Qualche riflessione conclusiva
“E ci sarebbe anche altro, eh”, osserva il nerista. “Reati non da primissima pagina, magari, ma negli ultimi anni abbiamo avuto anche un piromane seriale che agiva in zona Peep e, nei mesi recenti, un incappucciato che ha sessualmente molestato una decina di persone”. “In ogni modo… Piacenza è un crocevia”, continua. “È il principale snodo ferroviario e autostradale d’Italia. Si passa di qui per andare a nord (Milano, Torino) e verso il centro, a Roma. Piacenza è la seconda o terza città in Italia per numero di prostitute. A pochi metri dal centro, perché da noi l’autostrada passa vicinissima alla città, ogni giorno transitano quasi due milioni di veicoli. Uno esce, si prende la sua oretta di trasgressione, e rientra. “Chiese, caserme e casini”, si diceva di Piacenza. Il traffico della prostituzione, va da sé, anche qui è stato sempre fondamentale per la criminalità. Come la droga, se consideriamo – fonte: le acque del Po – che Piacenza risulta una delle città con il più alto consumo di cocaina in Italia. Numeri spaventosi, al di là dei sequestri record”. Facile divagare, a questo punto. Difficile, al di là delle persone finite al gabbio, recapitare le colpe a figure con nome, cognome e codice fiscale. Paolo e il nerista, consci che aprire troppo l’obiettivo significherebbe andare per tentativi o inerpicarsi in analisi oltremodo involute, preferiscono tornare al punto di partenza. Piacenza era davvero un’oasi felice? “Quella Piacenza è finita a metà ’90, con l’arrivo dei grandi flussi migratori. Questa non è un’osservazione politica, ma economica. Da quel periodo Piacenza è uscita da una dimensione di “cittadina di provincia calata in un mondo non ancora completamente globalizzato” per entrare in una dimensione “glocal”. Oggi siamo la città con il maggior numero di abitanti stranieri in regione. Sullo sfondo c’è una questione gigantesca legata al nostro polo logistico, grande quanto mezza città. La logistica è un’occasione d’oro per stoccare merci da spacciare (siamo a 50 minuti da Milano, 80 da Bologna, 90 da Genova e Torino). I facchini di Piacenza – perlopiù stranieri – sono i mandriani di Dodge City. Quando i cowboy portavano le mandrie a Dodge City, laggiù dove iniziava la ferrovia, cosa facevano, dopo mesi di lavoro e di viaggio? Intascavano la paga, andavano nei saloon, si ubriacavano, si giocavano tutto, caricavano una pu**ana, e poi si sparavano fra loro. Come da noi oggi: un esercito di facchini, operai e corrieri sono pagati miseramente. Si ubriacano, spaccano tutto e così c’è un sacco di lavoro per la cronaca nera”. “Sì, il lavoro non manca, da noi, se scrivi di nera”, sorride Paolo. “Quando sento i colleghi di Cremona, Pavia e Parma, a volte mi dicono: siete fortunati, lì a Piacenza. Siete vivaci, da noi non succede mai niente”, chiosa il nerista. “Sai, il giornalista di nera ragiona un po’ a modo suo, non devi farci caso”.