Due nuovi 3 stelle, cinque 2 stelle e ventisei new entry totali. Anche quest’anno è uscita la Guida Michelin Italia, arrivata alla sua sessantanovesima edizione. La premiazione ospitata in Franciacorta ha di nuovo cambiato la costellazione italiana dei migliori ristoranti. Inutile girarci intorno: il grande nome di quest’anno è quello dello chef Norbert Niederkofler dell’Atelier Moessmer di Brunico, che diventa uno dei nuovi 3 stelle italiani, che sono adesso 13 in totale (mentre i ristoranti con almeno una stella sono 395). Ma partiamo dai delusi: il Piemonte è la regione che ha perso più stelle, tre, nonostante il successo de La Rei Natura a Serralunga d’Alba. Tra Campania e Umbria, invece, ci sono state le novità più importanti con sei ristoranti premiati per la prima (tra cui il secondo 3 stelle di quest’edizione, lo storico Quattro passi di Nerano, aperto da 40 anni e ora nelle mani del giovane chef Fabrizio Mellino) e la seconda che, nonostante le piccole dimensioni, porta a casa tre nuove stelle. Si conferma al vertice della classifica delle regioni più premiate la Lombardia con due nuovi 2 stelle e altri cinque ristoranti al primo riconoscimento, proiettandola a sessanta ristoranti stellati totali. Segue la Campania con cinquantuno stelle e al terzo posto la Toscana con quarantuno: quest’ultima supera proprio il Piemonte fermo a quaranta. Sorprendono, inoltre, i tre ristoranti gestiti da donne che ottengono una stella: Ada a Perugia, la Casa Mazzucchelli a Sasso Marconi e il Wood a Breuil Cervinia. Dicevamo: chef Niederkofler è il Pallone d’Oro della Guida Michelin Italiana del 2024, o quantomeno quello di cui tutti hanno parlato. Lo ha fatto anche Camillo Langone, che ha commentato la filosofia dell'Atelier Moessmer in un articolo per Il Foglio.
Langone ha assegnato una sua personale stella al ristorante: “Al nuovo Atelier Moessmer Norbert Niederkofler di Brunico (Bolzano) manca soltanto la stella nera e gliela assegno io”. Non solo le rosse assegnate dalla Guida, adesso il ristorante di Brunico ne possiede una di un colore inedito: “Il nero in psicologia simboleggia colpa e punizione. E Niederkofler mi evoca tutto ciò”. Qual è la ragione di una simile stroncatura? La rigidità dello chef, il suo sentirsi “un guru”, la linea morale imprescindibile da seguire per gustarsi il suo menù. Dov’è l’amore, dov’è il cliente? “Niederkofler non è un cuoco: è un guru. Un maestro di vita. Un ispirato. Lui sa tutto, è tutto, anche un economista e un politico visto che il suo menù è ‘un manuale per ripensare lo sviluppo economico-sociale’”. Non è tutto: Niederkofler è anche mago, dice Langone, dato che “la sua cucina ‘contribuisce alla crescita dell’intero pianeta’. Dell’intero pianeta!”. Un semi-dio onnipotente che con la sua cucina decide le sorti della fame e della sete dei clienti. L’apertura e la chiusura dipendono da nient’altro che dagli umori dello chef. Non sono ammessi né vegani né cani, paladini di una non-libertà inaccettabile a quanto pare. E tutti gli altri? Niente, anche i comuni onnivori sono costretti al dettato di chef Niederkofler, il quale “non accetta nemmeno una minima libertà di scelta: ‘Serviamo esclusivamente il nostro menù Cook the Mountain al prezzo di 290 euro a persona (no menu á la carte)’”. Una ragione in più, quella definitiva, per la stella non richiesta, ma comunque meritatissima: quella nera di Camillo Langone.