Il mantra che sta circolando nelle ultime ore riguardo alla vicenda della Gintoneria che ha condotto agli arresti domiciliari Davide Lacerenza, Stefania Nobile e un loro collaboratore è che a Milano tutti sapevano cosa accadeva all’interno di quel locale, anche grazie ai video che circolavano sui profili social di Lacerenza, che non faceva segreto delle notti folli all’insegna di alcool, droga e sesso a pagamento. Alcuni frequentatori del bar ristorante ora sotto sequestro hanno addirittura dichiarato pubblicamente che le indagini sono partite a causa delle denunce e delle ritorsioni di qualche cliente “pentito”, dopo che questi hanno dilapidato il proprio patrimonio consumando champagne, cocaina e prestazioni fornite dalle escort. In realtà, stando a ciò che affermano questi avventori che si definiscono amici di Lacerenza e Nobile, “ognuno con i propri soldi è padrone di fare quello che meglio crede e i moralisti dovrebbero solo stare zitti”. Come se lo spaccio di sostanze stupefacenti e lo sfruttamento della prostituzione, che sono i reati contestati a Lacerenza e Nobile, fossero normali passatempi, tipo fare una partita a padel o andare a mangiare una pizza; e come se spendere anche 60mila euro a sera per farsi recapitare a domicilio la cocaina, lo champagne e le prostitute fosse un’alternativa al servizio delivery che ti porta a casa un Crispy McBacon con Coca-cola e doppie patatine. C’è anche Dayana Q., in arte “Fabulosa”, la escort che Lacerenza reputava “la migliore di tutte” per le cifre che riusciva a mettere in tasca in una sera, e che nella trasmissione Lo Stato delle cose dichiara che lei adescava i clienti della Gintoneria di sua spontanea volontà, senza essere convocata da nessuno. Come ha obiettato Moreno Pisto, direttore di MOW, le intercettazioni in mano agli investigatori raccontano ben altro e la Guardia di Finanza sta indagando anche sul vasto giro di denaro contante con cui le prostitute venivano pagate da Lacerenza, e non direttamente dai clienti. E quando Massimo Giletti le chiede: “Ma per 60mila euro cosa gli avete fatto a questo benedetto cliente?”, la Fabulosa risponde candidamente che a volte si beveva tanto champagne, e lo champagne costa carissimo, ma del rapporto sessuale - forse per l’eccessivo consumo di cocaina - c’era solo una lontana parvenza, e comunque mai nel privé con le tendine rosa finito sotto indagine e sotto sequestro. Le cose succedevano sempre negli alberghi o nelle abitazioni private.


Ma la figura più curiosa e irritante di tutta questa storia è tale Filippo Romeo detto Filippo Champagne, habitué - non indagato - della Gintoneria che su Instagram maneggiava mazzi di banconote da 100 euro sbeffeggiando i “poveri”. Nella trasmissione di Giletti ha dichiarato che “a Milano pippano tutti, ma proprio tutti, anche i minorenni, dappertutto, nelle banche, negli stadi, in tutti i ristoranti, ovunque”, che spacciano solo gli extracomunitari e la polizia non indaga e se la prende solo con Lacerenza, che lui odia i moralisti e i bacchettoni e che se non ci fosse il denaro in contante e l’economia in nero non si potrebbe sopravvivere. A lui si accodano i follower suoi e di Lacerenza, quelli che il proprietario della Gintoneria passava a salutare in “Montenapo” tutti i giorni nel tardo pomeriggio quando si svegliava puntuale alle 17 per andare a faticare e a lavare le gomme della Ferrari con lo champagne in modo da avere qualcosa da postare nelle stories. E i follower di questi signori scrivono che i detrattori di Lacerenza, di Filippo Champagne e della figlia di Wanna Marchi in realtà non fanno altro che rosicare: rosicano tanto perché magari guadagnano solo mille euro al mese e loro, poveracci, le serate alla Gintoneria non se le potranno mai permettere. Forse qualcuno dovrebbe spiegare a Filippo Champagne che i passatempi di cui parla in realtà sono reati e, se le indagini lo confermeranno, per quei reati sono previste anche delle pene, fra cui la detenzione non agli arresti domiciliari ma in carcere. E che quelli che sono indignati e inorridiscono per questa vicenda forse non sono quelli che guadagnano mille euro al mese, ma tutti i milanesi che semplicemente hanno un concetto del divertimento che si discosta parecchio dall’uso di sostanze stupefacenti e dal sesso a pagamento. Se io fossi Beppe Sala, il sindaco di Milano, farei in modo che il Comune si costituisca parte civile e denuncerei per diffamazione tutti quelli che continuano a dire a tv e giornali che a Milano si drogano tutti. Adesso anche basta.

