Dopo quarantadue anni di silenzi, piste evaporate e verità mai definitivamente afferrate, per la prima volta, una delle persone più vicine a Emanuela Orlandi nel giorno della scomparsa entra formalmente nel registro degli indagati. No, non si tratta dello zio Mario Meneguzzi (per altro scomparso da tempo) e sul quale la Procura ha deciso di vederci più chiaro riaprendo, di fatto, le indagini relative alla così detta pista familiare. E’ più che possibile, quindi, che la nuova indagata sia finita, appunto, sotto la lente della magistratura proprio grazie al nuovo lavoro degli inquirenti relativamente al filone principale sulla scomparsa della Orlandi. Laura Casagrande, questo il nome della persona che la Procura di Roma ha iscritto formalmente nel registro degli indagati, oggi 57 anni, all’epoca quattordicenne e compagna di studi della ragazza vaticana al Pontificio Istituto di Musica Sacra “Tommaso da Victoria”, è accusata di false informazioni ai pubblici ministeri.
Non si tratta, sia chiaro, di un’indagine per il sequestro o per l’omicidio, ma di un reato che comunque pesa molto, visto che la presunta menzogna reiterata che le viene contestata potrebbe avere in qualche modo portato sulla strada sbagliata le prime indagini. Secondo la Procura di Roma, coordinata dai magistrati che hanno riaperto il fascicolo nel 2023 insieme ai carabinieri del Nucleo investigativo, la Casagrande avrebbe fornito nel tempo versioni tra loro inconciliabili sulle ore immediatamente precedenti la sparizione di Emanuela, avvenuta il 22 giugno 1983. Il punto centrale è proprio questo: Laura Casagrande potrebbe essere stata una delle ultimissime, se non l’ultima, ad aver visto Emanuela viva, in corso Rinascimento, dopo l’uscita dalla scuola di musica. È una convinzione che anche la Commissione parlamentare bicamerale d’inchiesta ha maturato nel corso degli ultimi accertamenti e che oggi trova una sponda nell’iniziativa della magistratura ordinaria.
“La sua audizione - ha spiegato il presidente della Commissione, Andrea De Priamo, lasciando intendere che quelle ambiguità non fossero semplici vuoti di memoria - apparve fin da subito contraddittoria, come se volesse togliersi dalla scena”. Subito dopo la scomparsa, in effetti, Casagrande raccontò alla Squadra mobile di aver visto Emanuela alla fermata degli autobus 70 e 26. Poco dopo, con i carabinieri, corresse il tiro: “l’ho vista da lontano, mentre si avviava in fretta verso l’autobus perché doveva andare via rapidamente”. Anni dopo, davanti alla Commissione parlamentare, cambia ancora: sostiene di non averla vista uscire affatto dalla scuola e di ricordare solo un ritardo alla lezione di coro, o un’uscita anticipata. Versioni che non si sovrappongono e che, secondo gli inquirenti, non possono essere archiviate come semplici imprecisioni. E poi c’è la famosa telefonata dell’8 luglio 1983. È a casa Casagrande che squilla il telefono: dall’altra parte un uomo con un accento descritto come mediorientale detta un lungo messaggio destinato all’Ansa, parlando di Ali Agca e annunciando un ultimatum. Laura prende appunti mentre la madre ascolta. Anche su questo episodio, centrale, il racconto della Casagrande è rimasto nel tempo sostanzialmente invariato, ma non per questo meno problematico. Chi era davvero quell’uomo e come aveva ottenuto proprio il suo numero?
Interrogata negli anni, la Casagrande ha spiegato di aver dato il recapito a Emanuela poco prima della fine dell’anno scolastico, per una consuetudine epistolare tipica dell’età. Ma anche qui, secondo gli investigatori, restano zone d’ombra. Così come sui rapporti reali tra le due ragazze: amicizia nascente o conoscenza superficiale? Sentita di recente in Procura come indagata, accompagnata dal suo avvocato, la Casagrande ha ribadito una linea già emersa davanti alla Commissione: quella della rimozione, dei vuoti di memoria, di una fragilità emotiva che l’avrebbe portata ad “accantonare” per andare avanti. Una spiegazione che però non ha convinto chi indaga. Troppi “non ricordo” su un evento che, come ha osservato un parlamentare, appartiene ormai alla storia del Paese.
Per la famiglia Orlandi, l’iscrizione nel registro degli indagati è un segnale atteso. Pietro Orlandi ha parlato di un passaggio importante, perché chi era accanto a Emanuela in quelle ore potrebbe aver visto in quali mani fosse finita, o chi avesse fatto da tramite. Insomma, aldi là delle piste familiari o meno, è ancora nelle crepe della memoria di chi c’era che gli inquirenti sperano di trovare finalmente qualcosa che somigli alla verità.