Emanuela Orlandi scompare in un caldo pomeriggio d’inizio estate, il 22 giugno 1983, un giorno che per la sua famiglia segnerà un confine tra ciò che è stato fino a quel momento e ciò che ancora non sapevano li attendesse per i prossimi quarantuno anni e più. Il volto di Emanuela, la ragazza con la fascetta nera tra i capelli, comincia a riempire le strade della capitale. Quindicenne cittadina vaticana, è scomparsa. È questa l’immagine che la storia ci consegna di Emanuela, destinata a rimanere immutabile nel tempo, nonostante il 14 gennaio sia il suo 57esimo compleanno. Il giornalista Gianluigi Nuzzi, conduttore di Quarto Grado, in un articolo pubblicato su La Stampa, si è espresso sul legame tra la quindicenne scomparsa e papa Wojtyla, personaggio più volte chiamato in causa, soprattutto negli ultimi anni. “Desidero esprimere la viva partecipazione con cui sono vicino alla famiglia Orlandi, la quale è nella afflizione per la figlia Emanuela di 15 anni, che da mercoledì 22 giugno non ha fatto ritorno a casa. Condivido le ansie e l’angosciosa trepidazione dei genitori, non perdendo la speranza nel senso di umanità di chi abbia responsabilità di questo caso” Questo l’appello del pontefice il 25 giugno 1983, tre giorni dopo la scomparsa, un appello che fece uscire fuori da Roma la storia di Emanuela: “Senza quest’appello di Giovanni Paolo II la storia della scomparsa della giovane cittadina vaticana sarebbe andata diversamente. Sarebbe priva, ad esempio, di quell’inevitabile amplificazione internazionale che richiamò e diede spazio, subito dopo la scomparsa, a batterie di corvi e depistatori. Oggi è trascorsa un’era geologica da quel 1983, ma l’imponente stratificazione toglie fiato e luce a chi si ostina a cercare la verità”.
Gianluigi Nuzzi si è pronunciato anche sulla pista inglese, ovvero sulla teoria che vorrebbe Emanuela a Londra dal 1983 al 1997. Una teoria che prende piede un documento, subito bollato come falso dalla Santa Sede, e che era conservato in una cassaforte della Prefettura degli Affari Economici del Vaticano: “Pista che non ha finora trovato alcun riscontro certo se non uno scenario di scambio di messaggi a bassa intensità tra chi ha desiderio a lanciare criptici segnali nel contenuto e nel destinatario”. E su Pietro Orlandi: “Il fratello ha sempre ripetuto come un mantra il suo credo, la volontà di approfondire ogni indizio, ogni sussurro, ogni stormir di ricordi pur di arrivare alla verità e questo nei decenni lo ha esposto a false speranze e illusioni, fagocitando ogni tipo di suggestione. Ma non c’è certo da biasimarlo essendo un parente della vittima e non il titolare dell’inchiesta. Piuttosto c’è da interrogarsi se al contrario la Curia romana abbia cambiato atteggiamento rispetto all’ostracismo che ne aveva segnato il passato. Quella di Pietro Orlandi e quella della Santa Sede sono due posizioni infatti centrali nello scacchiere di questa partita contro il tempo e il silenzio. Qualche mese fa, ad esempio, Orlandi non aveva escluso una qualunque responsabilità del Pontefice dell’epoca, appunto papa Wojtyla creando una sorta di cortocircuito con un inevitabile contraccolpo tra chi in Curia poteva aiutare a recuperare vecchi faldoni o l’altrui memoria”.