Le amiche di Emanuela Orlandi, cittadina vaticana scomparsa il 22 giugno del 1983 a Roma, sono state ascoltate dalla Commissione parlamentare d’inchiesta. Laura Casagrande, frequentava la stessa scuola di musica di Emanuela, ed è a casa sua che l’8 luglio 1983, quindici giorni dopo la sparizione, arrivò la telefonata di uno sconosciuto con accento mediorientale, che dettò a sua madre un messaggio da consegnare all’Ansa e che è agli atti dell’inchiesta. I presunti rapitori dove avevano trovato il numero di casa dell’amica di Emanuela? Era scritto sul suo quaderno di solfeggio. Questa l’audizione della Casagrande: “La voce aveva un timbro tra l’arabo, l’orientale e il mediorientale, anche se non so distinguere l’arabo dal turco. Il ricordo che ho impresso di quel giorno è che non venne alla lezione di coro. La aspettavo, perché era una delle ragazze con le quali avevo più legato. Non la vidi arrivare o arrivò molto tardi, a lezione cominciata: questo ora mi sfugge”. L’amica di Emanuela nel corso degli anni ha più volte cambiato versione. Ha detto di averla vista alla fermata degli autobus 70 e 26 e di averla vista da lontano mentre andava a prendere l’autobus fino a perderla completamente di vista. In Commissione ha fornito una terza e inaspettata versione: “Non ho memoria alcuna. Non ricordo nulla di tutto quello che ha riletto della mia deposizione dell’epoca. Ho un vuoto totale”. Questo il commento del presidente della Commissione Andrea De Priamo: “È vero che è una vicenda risalente a 41 anni fa, ma è vero anche che è come se fosse attuale, perché c’è una continua divulgazione, anche ridondante, sul caso Emanuela Orlandi”.
Laura Casagrande, dopo la sparizione dell’amica Emanuela, smise di frequentare la scuola di musica: “Ebbi paura e, psicologicamente, non ero più in grado di ricominciare lì dentro. Non mi sentivo di tornare a studiare lì, in quei luoghi. Poteva capitare anche a me. Non è capitato, io non sono mai stata adescata né avvicinata da nessuno. Quella dell’adescamento era l’idea che ci eravamo fatti un po’ tutti. Certamente, non che fosse andata via da sola. Allontanarsi da sola no!”. In Commissione anche l’audizione di un’altra delle amiche di Emanuela, Alessandra Cannata: “Spesso uscivamo insieme da scuola e facevamo una passeggiata prendevamo un gelato: siamo diventate amiche in questo modo. Parlavamo di cose da ragazzine, come i buchi alle orecchie o i vestiti. Era una ragazza solare. Sulle cose sue personali, però, era molto riservata. Sorrideva molto, era spensierata. Ci siamo frequentate qualche mese e ricordo una volta in cui mi invitò a pranzo a casa, con la sua famiglia: una famiglia estremamente semplice e normale, molto serena, molto tranquilla, un ambiente positivo. La sorella mi accennò qualcosa riguardo una telefonata che Emanuela aveva fatto, dicendo che avrebbe fatto del volantinaggio. Diceva che aveva avvertito che avrebbe fatto un po’ più tardi, perché le avevano proposto di distribuire dei volantini. Mio padre, che era un magistrato, fu anche di aiuto, perché lavorava alla Procura della Repubblica. Purtroppo, però, nel giorno in cui non è tornata a casa non ero andata alla scuola di musica. Mio padre ha avuto subito un’idea non tanto positiva. Pensava che difficilmente sarebbe stata ritrovata, mi esprimeva i suoi timori. A casa di questo argomento non abbiamo più parlato. Una delle domande che mi è stata fatta moltissime volte è se potevo pensare che si fosse allontanata volontariamente. La percezione che avevo della persona è che non l’avrebbe mai fatto; conoscendo lei e la sua famiglia, i suoi fratelli e le sue sorelle, anche la sua vita, non penso l’avrebbe mai fatto, perché non aveva nessun motivo”. Eppure, in un primo momento, quando la famiglia Orlandi andò a denunciare la scomparsa di Emanuela gli venne detto di stare tranquilli perché sarebbe tornata. In fondo, non era nemmeno tanto bella. Oggi, quarantuno anni dopo, stiamo ancora attendendo il suo ritorno.