Nel ginepraio di teorie, bugie e silenzi che da oltre quarant’anni inghiotte la scomparsa della quindicenne cittadina vaticana Emanuela Orlandi avvenuta nel giugno del 1983, spunta Sophie. Francese, giovane, credente. O forse solo suggestionata. Tra ottobre 2021 e l’inizio del 2022 intasa la casella email del giornalista Gianluigi Nuzzi con una pioggia di messaggi, a volte quasi uno ogni ora. Le sue parole sono un vortice di accuse e visioni: abusi nei giardini vaticani, orge in ambienti ecclesiastici, dossier segreti nascosti oltre le mura del Papa. E un nome che torna sempre, come un’eco: Enrico De Pedis. Dice che quel 22 giugno 1983, Emanuela – o lei, che ne scrive “come se fosse lei” – sarebbe salita su un’auto guidata dal boss della banda della Magliana, con a bordo anche monsignor Vergari. “Mi offrì un lavoro, prometteva soldi facili”, racconta Sophie, parlando di una messa organizzata in fretta per il prelato. Poi il silenzio, l’auto scompare e con lei anche la ragazza. Il copione è noto, ma Sophie aggiunge dettagli e suggestioni, alimentate – dice – da messaggi spirituali ricevuti tramite la Curia di Avignone.


Col passare delle settimane le sue email si fanno più ansiose. Dice di essere seguita, teme di essere rapita, si rivolge a Nuzzi e poi direttamente a Pietro Orlandi: “Emanuela vuole che suo fratello sappia la verità”. Ma la famiglia non abbocca. “Nulla di nuovo”, replicano, e alcune cose – precisano – sono già state smentite. Sophie non si arrende. “Forse ho sbagliato nei toni, ma l’ho fatto per amore della verità e della Chiesa”, scrive nell’ultima email, invocando lo Spirito Santo e indicando ancora una volta la scuola di musica e De Pedis come la chiave per capire tutto. Una testimone? Una visionaria? Un’anima in cerca di senso? Impossibile dirlo. Ma la sua voce si aggiunge al coro spezzato di chi, da quarant’anni, cerca Emanuela e trova solo ombre.

