Nel lungo cammino della Chiesa cattolica, pochi nomi papali evocano tanta autorità, tradizione e forza spirituale quanto quello di “Leone”. Tredici pontefici hanno scelto questo nome prima di Robert Prevost, l’ultimo dei quali è stato Leone XIII, salito al soglio di Pietro nel 1878. A ogni epoca, la scelta del nome non è stata soltanto una preferenza personale, ma una vera e propria dichiarazione di intenti. Richiamarsi a Leone significa posizionarsi in un certo filone storico della Chiesa: quello della fermezza dottrinale, della difesa dell’unità ecclesiale e, in alcuni casi, di una riforma misurata e profondamente radicata nella tradizione.
Il capostipite di questa serie è Leone I, detto “Magno”, vissuto nel V secolo. Figura imponente, fu il primo papa a essere dichiarato Dottore della Chiesa. Durante il suo pontificato, Leone I consolidò il primato del vescovo di Roma non solo dal punto di vista ecclesiale, ma anche dottrinale, opponendosi con forza alle eresie dell’epoca e affermando l’autorità papale sul piano teologico. Fu anche un abile diplomatico: la sua leggendaria mediazione con Attila alle porte di Roma lo rese simbolo di un papato forte, capace di proteggere la città e i fedeli non solo spiritualmente, ma anche fisicamente. Da lui in poi, il nome Leone divenne sinonimo di un pontefice pastore ma anche guardiano.

Nei secoli successivi, diversi papi hanno ripreso questo nome, spesso in momenti delicati per la cristianità. È il caso di Leone III, che nel 800 incoronò Carlo Magno, rinsaldando il legame tra Chiesa e impero. Oppure di Leone IX, pontefice dell’XI secolo, che pur tentando una riforma morale del clero e del papato stesso, vide consumarsi sotto il suo pontificato lo scisma con la Chiesa d’Oriente. Anche qui, la scelta del nome indicava una volontà di ordine, centralità e purezza nella vita della Chiesa.
Nel pieno del Rinascimento, Leone X, al secolo Giovanni de’ Medici, incarna una fase molto diversa. Meno pastore e più principe rinascimentale, fu amante delle arti e del mecenatismo, ma anche protagonista – suo malgrado – dell’inizio della Riforma protestante. Sebbene conservatore nella dottrina, il suo stile di governo fu segnato da un certo compiacimento verso gli eccessi del tempo. In questo caso, il nome “Leone” apparve forse più come richiamo al prestigio e alla potenza, che non come programma spirituale.
A chiudere la serie, nel XIX secolo, è Leone XIII, figura di enorme spessore intellettuale. Il suo lungo pontificato (1878–1903) fu segnato da un rinnovamento della dottrina sociale della Chiesa, con la celebre enciclica Rerum Novarum, che affrontò per la prima volta in maniera organica la questione operaia e le ingiustizie del capitalismo industriale. Leone XIII fu riformatore nei temi sociali, ma saldamente tradizionalista in campo teologico. Il suo equilibrio tra fedeltà alla dottrina e apertura alla modernità lo ha reso uno dei pontefici più rispettati e lungimiranti della sua epoca. In lui il nome Leone tornò a significare forza pastorale, saggezza teologica e visione profetica, ma senza cedimenti dottrinali.

Guardando alla storia, è chiaro che chi sceglie il nome Leone tende a collocarsi in una linea di continuità forte con la tradizione. È il nome di chi vuole apparire come difensore dell’ortodossia, ma non necessariamente come oppositore della riforma, se questa avviene con discernimento e nel rispetto della dottrina. Non è un nome usato dai papi “progressisti” in senso moderno, né da quelli più radicalmente conservatori. Piuttosto, è una scelta che riflette autorevolezza, stabilità e centralità romana, unita talvolta a un desiderio di riforma equilibrata e guidata dallo Spirito.
Se in futuro un pontefice scegliesse di chiamarsi Leone XIV, manderebbe un segnale preciso al mondo cattolico: quello di una Chiesa forte, non urlata, salda nella sua fede, ma capace di parlare alle sfide del presente senza inseguire le mode. Un leone, appunto: guardiano del gregge, guida ferma, ma non feroce.
