Può il sottosegretario alla Cultura essere escluso dagli Stati Generali della Cultura? Lo può, eccome se lo può. Giovedì 6 aprile, Anno I dell’Era Meloni, all’Hotel Quirinale in quel di Roma si terrà l’assemblea generale della destra culturale italiana, dall’egemonico titolo di “Pensare l’immaginario italiano”. Ci saranno i pezzi grossi dell’intellettualità filo-governativa: dal ministro Gennaro Sangiuliano a Marcello Veneziani e Pietrangelo Buttafuoco, da Stefano Zecchi a Camillo Langone, da Alessandro Campi a Luigi Mascheroni, da Alessandro Giuli a Francesco Borgonovo. Ma saltano all’occhio anche assenti eccellenti. Su tutti, visto l’incarico istituzionale che gerarchicamente lo vede appena sotto il ministro della Cultura, lui: Vittorio Sgarbi.
Non è il solo, a mancare nella fittissima lista dei relatori della giornatona che fra i suoi obiettivi annovera niente po’ po’ di meno che dettare, dall’alto, un po’ sovieticamente, le “linee programmatiche della cultura nazionale”. Non c’è, per dire, il presidente del Vittoriale degli Italiani, Giordano Bruno Guerri. Non si sa come l’abbia presa, ma qualche malumore, nelle file degli autori convintamente schierati a destra ma fuori dai giri, e perciò fuori dalla lista, c’è. Come, per fare un solo esempio, nel caso di Luigi Iannone, l’unico che sapesse chi fosse Roger Scruton quando in Italia non lo conosceva nessuno, o quasi. Per carità, è normale che l’organizzazione di simili eventi si fondi più sulle relazioni personali che non sulle sole azioni culturali. Lo è di meno che certi inviti non siano partiti proprio.
Il caso Sgarbi, naturalmente, va preso a sé, data l’unicità del personaggio. Onusto di cariche (ne ha una decina, buon ultimo lo scranno di consigliere regionale in Lombardia con “Noi Moderati”), il Vittorio nazionale non dev’essere considerato abbastanza nazionalista, dalle parti di Fratelli d’Italia. Traduzione: non sufficientemente allineato, a cuccia, sull’attenti. Il casus belli che lo ha reso inviso al partito guida del centrodestra riguarda Sutri, il Comune del Viterbese di cui è il sindaco uscente. In una recente intervista al Corriere della Sera, com’è nel suo stile si è sfogato: anziché ricandidarlo, hanno preferito un “fascista” e “impresentabile”, rispondente al nome di Matteo Amori. Un passato in Casapound, da anni in FdI, Amori nel 2019 aveva promosso una manifestazione contro l’iniziativa sgarbiana di riconoscere la cittadinanza onoraria a Mimmo Lucano, ex primo cittadino di Riace beniamino della sinistra “immigrazionista”. Da lì una serie di liti e schermaglie sfociate nella preferenza del partito meloniano al fido ras locale.
Molto semplicemente, è stata premiata la fedeltà, criterio che nei partiti fa aggio su tutto. Sgarbi, per le logiche di una forza oggi di governo, è troppo incontrollabile e imprevedibile. Una testa calda. Per capirci: se messo accanto, in un’ideale foto a due, con Sangiuliano, sembrano il diavolo e l’acqua santa, Franti e Bottini, l’impepata e il brodino. Le motivazioni ideologiche valgono quel che valgono, cioè in pratica niente, perché non è una novità che da un po’ vi sia un travaso di giovani elementi provenienti dalla destra radicale nel corpaccione di Fratelli d’Italia (e con un suo perché: la militanza giovanile si concentra nelle estreme più o meno tali, il vivaio è lì; anche a sinistra, vedi Fridays for Futures e Ultima Generazione). Il fatto, come si dice, è personale, e investe la personalità, esuberante, incontenibile, indomabile di Sgarbi.
Se e quanto la sua attuale “quarantena” sia profonda, lo si vedrà alla Camera dei Deputati quando Vittorio Sgarbi sarà sottoposto al voto degli onorevoli colleghi, anzitutto di maggioranza, sull’autorizzazione a procedere per il processo per diffamazione intentatogli da Mara Carfagna. In tre video su Facebook del 2020, il nostro l’aveva ricoperta di contumelie perché l’allora vicepresidente di Montecitorio l’aveva richiamato e poi fatto espellere dall’aula per non aver indossato correttamente la mascherina: “capra”, “cretina”, “maestrina del cazzo”, “in parlamento solo dopo essere stata in ginocchio davanti a Berlusconi”, e altre finezze di questo tenore. La Giunta per le autorizzazioni ha dato via libera all’unanimità, perché “il turpiloquio non fa parte del modo di esercitare le funzioni istituzionali”. Bisognerà vedere se i deputati del centrodestra, a questo punto, cambieranno linea e lo “salveranno”. Per la verità, conoscendo il soggetto, la sola persona che può salvare Sgarbi è Sgarbi. Ammesso e, si capisce, assolutamente non concesso che intenda farlo, cioè che abbia intenzione di rientrare nei ranghi. La storia del critico d’arte più incazzoso d’Italia è piena di rotture furibonde. Ma anche di riconciliazioni e ritrovati modus vivendi. Magari, ecco, non più a Sutri.