La notizia dell'imminente trasferimento di Chico Forti da una prigione della Florida, dove ritenuto colpevole di omicidio sta scontando l’ergastolo da oltre vent’anni, a una più confortevole residenza carceraria italiana (o forse occorre presto immaginarlo ai domiciliari nel Belpaese?) mi ha subito suggerito un commento, su X, figlio di Twitter: “La trasformazione di Chico Forti in ‘eroe nazionale’ segna la rinascita della ‘commedia all’italiana’ al tempo della destra al governo”. Gli elettori di Meloni+Salvini, infatti, hanno accolto l'obiettivo infine raggiunto con orgogliosa approvazione quasi diportistica, collocando idealmente, se non “di diritto”, l’icona del già campione di “Telemike” e soprattutto di windsurf accanto ai volti non meno cari e per loro domesticamente carismatici dei cosiddetti “marò”. L’immagine del sorriso di Chico ancora uomo libero sull'amata tavola a vela, le dita nel gesto molto rock di soddisfazione, lo stesso con cui Elvis accompagnava gli ultimi accordi, sullo sfondo della spiaggia di Mondello, con Pizzo Sella, collina che racconta una storia di abusivismo edilizio, a fare da sfondo, innalzata come poster di una ritrovata libertà a dispetto, se non “alla faccia” d'ogni vera o presunta ingiustizia subita, patita, al nostro caro Chico inflitta. A far da colonna sonora, altrettanto virtualmente, il brano che Enrico Ruggeri, determinato protagonista della campagna per il suo rientro in “Patria”, gli ha dedicato; parole alate: “Ho volato sull'acqua, ho passato montagne, ho spiegato le vele nel sole, ho guardato le albe, i colori e i tramonti calpestando la terra scivolando sul mare, cittadino curioso del mondo…”. Il mio post poco encomiastico ha subito trovato una replica polemica, giunta forse a compendiare la polarizzazione politica odierna: “Vale anche per la Salis?”. Considerazione speciosa cui ho replicato: “La Salis non ha una condanna definitiva, ancor meno all’ergastolo”. Resta, su tutto, che ben oltre ogni considerazione che inquadri il nodo del garantismo e la riflessione sulla giusta pena, l’intera vicenda trascende di fatto l’ambito giudiziario, mostrando infine una sorta di poster perfetto per raccontare, innanzitutto sul piano antropologico, le pulsioni che accompagnano la narrazione, se non il “tifo”, di un segmento subculturale che si rispecchia nella narrazione identitaria propria di Giorgia Meloni, dove "Chico", sicura vittima innalzata, reificata come infine ritrovato da lontano “fratello d’Italia”, campeggia a figura intera nella quadreria passionale del presente politico nazionale ufficiale. Un conto aderire all’atlantismo per ragioni di opportunità e realpolitik in presenza dell’aggressione russa all’Ucraina, tuttavia sarà altrettanto concesso provare un retrogusto antiamericano, magari nell'essere riusciti a strappare Forti a una crudele cella “Made in Usa”? Non sarà stato proprio Guantanamo, ma... La destra, soprattutto se già di conio neofascista, considerazione storica non peregrina, si sappia, ritiene infatti che la sconfitta dell’esercito del ‘Reich millenario’ da parte delle armate di Patton e MacArthur coinciderebbe con ‘la morte dell’Europa’. Ora, sia pure in filigrana, in molto giubilo social per la liberazione ottenuta di Chico "nostro" vive in profondità quasi artesiane anche tale incancellabile, insopprimibile sentire.
Al netto dell’ombra criminale che accompagna l’intera vicenda Forti, innocenza o meno, dubbi o convincimenti circa l’ingiustizia patita dal “connazionale”, le immagini a venire dell’aereo che lo riporterà a casetta sua, ancor prima d’essere mostrate dai telegiornali, già dalla pista d’atterraggio, metti, di Ciampino, la stessa dalla quale Umberto, “re di maggio”, si ritrovò costretto a partire per l’esilio a Cascais in Portogallo, si mostrano già come poster privilegiato di un'Italia radiosa al mattino della destra al governo. Mettendo insieme, diorama propagandistico, quasi un album di figurine neo-risorgimentali da pro-loco sovranista e ancora suggestioni da almanacco berlusconiano del “questo è il paese che amo”, ritrovato cinegiornale quasi Luce tra Instagram e il resto. A conferma che la nostra destra vanti la sua liberazione come dato di vittoria, “Trofeo Chico”, le parole apparse su “Il Giornale”, sigillo del risultato infine ottenuto, accompagnate dal prevedibile scherno verso il “fallimentare” Luigi Di Maio, a sua volta comprimario della ritrovata “commedia all’italiana”: “Riavvolgendo il nastro delle promesse non mantenute sul ritorno in Italia di Chico Forti, è inevitabile partire dalla sera del 23 dicembre del 2020. La data della beffa più clamorosa nei confronti del nostro connazionale detenuto negli Stati Uniti dal 2000. Un annuncio che, a rivederlo oggi, sembra surreale. Perché l'allora ministro degli Esteri Di Maio comunicò il rimpatrio di Forti con la stessa leggerezza con cui, due anni prima, diede notizia dell'avvenuta abolizione della povertà dal balcone di Palazzo Chigi”. Con soddisfatta maestria da sceneggiatore “d’ufficio”, Domenico Di Sanzo, autore della nota, conclude: “Ecco la scena madre. C'è Di Maio, impeccabile in abito e cravatta scuri, che parla dal suo ufficio alla Farnesina. Il ministro si esprime con la gravità delle occasioni solenni. Poi si auto elogia per il suo lavoro diplomatico con l'allora segretario di Stato americano Mike Pompeo. Poco prima un post su Facebook: "Ho una bellissima notizia da darvi: Chico Forti tornerà in Italia”. Altrettanto disdoro viene consegnato a Giuseppe Conte, Mario Draghi, Matteo Renzi, Enrico Letta. Se ne suggerisce così la modesta caratura diplomatica, encomiabili “incapaci”. Finché, Venere fattiva e determinata emersa dalle acque dell’altrui immobilismo (immagine botticelliana simmetrica alla campagna pubblicitaria di sapore “autarchico” commissionata dalla ministra del Turismo Daniela Santachè tempo addietro) il “Caso Forti” non ha finalmente trovato decisiva attenzione sulla scrivania di una presidente in possesso di veri "attributi"; ed ecco apparire nel nostro poster anche il volto di Giorgio Armani, dunque apoteosi piena del Made in Italy. Nel promo destinato a consacrare ufficialmente l’obiettivo raggiunto, “orgoglio” italiano ritrovato, in primo piano, totemica, presto una tavola a vela, innalzata come già il monolite nel celebre film di Kubrick, su sfondo marino nel giubilo dei primati in costume da bagno.