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Conclave, ma avete sentito l’omelia del cardinale Re (che non cita mai Papa Francesco)? NON DICE NIENTE: vi ricordate quella di Ratzinger (Benedetto XVI) nel 2005? E poi gli auguri al papabile Parolin (gliel’ha tirata?)

  • di Riccardo Canaletti Riccardo Canaletti

7 maggio 2025

Conclave, ma avete sentito l’omelia del cardinale Re (che non cita mai Papa Francesco)? NON DICE NIENTE: vi ricordate quella di Ratzinger (Benedetto XVI) nel 2005? E poi gli auguri al papabile Parolin (gliel’ha tirata?)
Il cardinale Giovanni Battista Re ha condotto l’omelia della Messa di inizio Conclave e non ha detto niente. Da quando la Chiesa è diventata così vigliacca? Ricordate l’omelia di Ratzinger del 2005? Era tutta un’altra cosa, durissima con il presente, con le nuove sette, con la dittatura del relativismo e molto altro. Non viene neanche citato Papa Francesco? Paura di creare polemica? E poi quegli auguri fuorionda a Parolin, il più quotato dei papabili…

di Riccardo Canaletti Riccardo Canaletti

È vero che il Conclave è questione di forma, di rito, di cerimonia, di silenzio e attesa. E quel che conta sono le fumate, anzi una solo di queste, quella bianca. Il problema, però, è che dal Vaticano ci si aspetta qualcosa che ricordi, anche solo vagamente, la differenza ontologica tra la Chiesa, una potenza politica, artistica e culturale millenaria, e il resto del mondo. La Chiesa può dire e fare ciò che altri non possono dire e fare. La Chiesa è una grande nave che trasporta la Tradizione, e cioè il patrimonio teologico e dottrinale del Cattolicesimo, e di solito quando mira spara. Ora il collegio dei cardinali elettori è chiamato a scegliere il futuro papa, la guida e il capo del più solido e antico Stato dell’Occidente, ma con quale forza si propone di farlo? In questi giorni quel che è emerso è piuttosto un misto di debolezza e confusione, spaesamento e difficoltà a comunicare con il mondo laico. Dopo la morte di Papa Francesco si sono succedute, nei discorsi pubblici e nelle interviste, soprattutto formule inoffensive e considerazioni basiche, che poco hanno a che vedere con l’impegno che la Chiesa dovrebbe assumere di fronte alla stagnazione della nostra società, che sempre più favorisce il proliferare di devozioni (soprattutto new age) e lascia campo libero al relativismo (quello che porta a ritenere le democrazie liberali, sotto alcuni punti di vista, persino peggio delle teocrazie o degli Stati talebani), alimentando un circolo vizioso di ideologia e capriccio. Manca qualcuno che ci bacchetti, il giusto rimprovero (il rimprovero del padre e della madre).

Tutto questo manca nell’omelia della Santa Messa pro eligendo Romano Pontefice del Cardinale Giovanni Battista Re che in nome della “pacificazione”, pare invitare alla moderazione, depotenziando l’amore fino a renderlo innocuo, per nulla impattante sul futuro del mondo. Verrebbe da chiedersi: la Chiesa non ha più un ruolo nella società? E la fede? E, dunque, il papa? L’assenza di qualsiasi spinta intellettuale, morale o pratica emerge constatando banalmente un fatto: mai viene citato Papa Francesco, un pontefice che ha fatto del suo pontificato l’occasione per discutere qualsiasi tema di attualità. Nel 2013, quando il cardinale Angelo Sodano condusse la stessa omelia per il Conclave che potrò all’elezione di Bergoglio, si citò – con grande riconoscenza – Benedetto XVI. Non è una prassi obbligatoria, ma non farlo può diventare controverso. C’è chi potrebbe sostenere che Re abbia indicato in questo modo la necessità di staccarsi presto dall’eredità di attivismo politico di Bergoglio. Eppure un doppio augurio “fuorionda” ma con i microfoni ancora accessi, tradisce forse la preferenza del Decano del Collegio cardinalizio per il Segretario di Stato Pietro Parolin, un uomo decisamente più cauto di Francesco ma, pare, altrettanto progressista. Dunque perché non nominare Bergoglio? Questa assenza ingombrante dal discorso di Re possiamo spiegarla meglio guardando non all’omelia del 2013 di Sodano ma a quella di Ratzinger stesso nel 2005, un esempio di teologo – e poi pontefice – che riuscì a interpretare il presente ed ebbe il coraggio di denunciarne derive e contraddizioni.

Il cardinale Giovanni Battista Re
Il cardinale Giovanni Battista Re

Parlava così di “dittatura del relativismo” e cioè il lasciarsi “portare ‘qua e là da qualsiasi vento di dottrina’”, che spingeva a considerare “fondamentalismo” “l’avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa”. È vero, come dice Re, che “fra i compiti di ogni successore di Pietro vi è quello di far crescere la comunione: comunione di tutti i cristiani con Cristo; comunione dei Vescovi col Papa; comunione dei Vescovi fra di loro. Non una comunione autoreferenziale, ma tutta tesa alla comunione fra le persone, i popoli e le culture, avendo a cuore che la Chiesa sia sempre ‘casa e scuola di comunione’”. Ma è ancora più vero che una fede “adulta” non è “una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. É quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità”. Quanto è diventato difficile parlare di verità oggi? Ed è chiaro che forse solo la Chiesa, oggi, potrebbe tornare a parlarne senza il finto pudore del postmodernismo. Chi, se non la Chiesa, dovrebbe rivendicare il valore dell’Assoluto? 

Di questo parlava Ratzinger, contro ogni “vento di dottrina”: “La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde - gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice San Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore”. E proprio di questo non si è più parlato, neanche nell’ultima omelia, che dietro lo spirito dell’amore universale e fraterno e della preghiera nasconde forse un po’ di titubanza a voler assumere una vera posizione pro e contro qualcosa. 

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L’omelia del cardinale Re

Negli Atti degli Apostoli si legge che, dopo l’ascensione di Cristo al cielo e in attesa della Pentecoste, tutti erano perseveranti e concordi nella preghiera insieme con Maria, la Madre di Gesù (cfr. At 1,14).

È proprio quello che anche noi stiamo facendo a poche ore dall’inizio del Conclave, sotto lo sguardo della Madonna posta a fianco dell’altare, in questa Basilica che si eleva sopra la tomba dell’Apostolo Pietro.

Percepiamo unito a noi l’intero popolo di Dio col suo senso di fede, di amore al Papa e di fiduciosa attesa.

Siamo qui per invocare l’aiuto dello Spirito Santo, per implorare la sua luce e la sua forza perché sia eletto il Papa di cui la Chiesa e l’umanità hanno bisogno in questo tornante della storia tanto difficile e complesso.

Pregare, invocando lo Spirito Santo, è l’unico atteggiamento giusto e doveroso, mentre i Cardinali elettori si preparano ad un atto di massima responsabilità umana ed ecclesiale e ad una scelta di eccezionale importanza; un atto umano per il quale si deve lasciar cadere ogni considerazione personale, e avere nella mente e nel cuore solo il Dio di Gesù Cristo e il bene della Chiesa e dell’umanità.

Nel Vangelo che è stato proclamato sono risuonate parole che ci portano al cuore del supremo messaggio-testamento di Gesù, consegnato ai suoi Apostoli nella sera della Cena di Addio nel Cenacolo: “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amato”. Quasi a precisare quel “come io vi ho amato” e indicare fino dove deve giungere il nostro amore, Gesù di seguito afferma: “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13).

È il messaggio dell’amore, che Gesù definisce comandamento “nuovo”. Nuovo perché trasforma in positivo e amplia grandemente l’ammonimento dell’Antico Testamento, che diceva: “Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”.

L’amore, che Gesù rivela, non conosce limiti e deve caratterizzare i pensieri e l’azione di tutti i suoi discepoli, i quali nel loro comportamento devono sempre mostrare un amore autentico e impegnarsi per la costruzione di una nuova civiltà, quella che Paolo VI chiamò “civiltà dell’amore”. L’amore è la sola forza capace di cambiare il mondo.

Gesù ci ha dato l’esempio di questo amore all’inizio dell’ultima cena con un gesto sorprendente: si è abbassato al servizio degli altri, lavando i piedi agli Apostoli, senza discriminazioni, non escludendo Giuda che lo avrebbe tradito.

Questo messaggio di Gesù si ricollega a quanto abbiamo ascoltato nella prima lettura della Messa, nella quale il Profeta Isaia ci ha ricordato che la qualità fondamentale dei Pastori è l’amore fino al dono completo di sé.

Dai testi liturgici di questa celebrazione eucaristica ci viene pertanto un invito all’amore fraterno, all’aiuto vicendevole e all’impegno per la comunione ecclesiale e per la fraternità umana universale. Fra i compiti di ogni successore di Pietro vi è quello di far crescere la comunione: comunione di tutti i cristiani con Cristo; comunione dei Vescovi col Papa; comunione dei Vescovi fra di loro. Non una comunione autoreferenziale, ma tutta tesa alla comunione fra le persone, i popoli e le culture, avendo a cuore che la Chiesa sia sempre “casa e scuola di comunione”.

È inoltre forte il richiamo a mantenere l’unità della Chiesa nel solco tracciato da Cristo agli Apostoli. L’unità della Chiesa è voluta da Cristo; un’unità che non significa uniformità, ma salda e profonda comunione nelle diversità, purché si rimanga nella piena fedeltà al Vangelo.

Ogni Papa continua a incarnare Pietro e la sua missione e così rappresenta Cristo in terra; egli è la roccia su cui è edificata la Chiesa (cfr. Mt 16,18).

L’elezione del nuovo Papa non è un semplice avvicendarsi di persone, ma è sempre l’Apostolo Pietro che ritorna.

I Cardinali elettori esprimeranno il loro voto nella Cappella Sistina, dove - come dice la Costituzione Apostolica Universi dominici gregis - “tutto concorre ad alimentare la consapevolezza della presenza di Dio, al cui cospetto ciascuno dovrà presentarsi un giorno per essere giudicato”.

Nel Trittico Romano Papa Giovanni Paolo II auspicava che, nelle ore della grande decisione mediante il voto, l’incombente immagine michelangiolesca di Gesù Giudice ricordasse a ciascuno la grandezza della responsabilità di porre le “somme chiavi” (Dante) nelle mani giuste.

Preghiamo quindi perché lo Spirito Santo, che negli ultimi cento anni ci ha donato una serie di Pontefici veramente santi e grandi, ci regali un nuovo Papa secondo il cuore di Dio per il bene della Chiesa e dell’umanità.

Preghiamo perché Dio conceda alla Chiesa il Papa che meglio sappia risvegliare le coscienze di tutti e le energie morali e spirituali nella società odierna, caratterizzata da grande progresso tecnologico, ma che tende a dimenticare Dio.

Il mondo di oggi attende molto dalla Chiesa per la salvaguardia di quei valori fondamentali, umani e spirituali, senza i quali la convivenza umana non sarà migliore né portatrice di bene per le generazioni future.

La Beata Vergine Maria, Madre della Chiesa, intervenga con la sua materna intercessione, perché lo Spirito Santo illumini le menti dei Cardinali elettori e li renda concordi nell’elezione del Papa di cui ha bisogno il nostro tempo.

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