L’Italian Tech Week porta il marchio organizzativo di Vento, il fondo di venture capital fondato da Exor due anni fa per promuovere investimenti in start up innovative, intelligenza artificiale, tecnologie critiche. E Vento ha portato a Torino una parata di stelle delle tecnologie di frontiera: star della kermesse Sam Altmann, Ceo di OpenAI, “società madre” di Chat GPT. A cui si aggiungono il Ceo della finanziaria eToro, l'israeliano Yoni Assia, il Ceo di Microsoft Italia Vincenzo Esposito, Robert Gentz, Ceo di Zalando, Pietro Labriola, ad di Tim, Benedetto Vigna, Ceo di Ferrari, Paolo Cerioli, vicepresidente di Fincantieri, più i vertici tech di un'ampia serie di aziende, da Accenture a L'Oreal. In mezzo a loro John Elkann appare come il “padrone di casa” presentandosi nella versione di aspirante "Warren Buffett italiano", investitore ambizioso che non vuole vincolarsi a un singolo business. Tanto che, assieme a Vento, l’altro grande nome della galassia Exor che appare associato alla Itw è il fondo Lingotto, holding personale di Elkann che prende il nome dalla storica ex sede della Fiat. Elkann, dunque, sceglie Torino come “capitale” del suo nuovo business anche per far dimenticare la de-industrializzazione della città legata all’abbandono del ruolo di capitale italiana dell’auto. La strategia globalizzante che ha portato Exor a diventare prima azionista di Stellantis in cambio dello scioglimento di Fiat nel conglomerato a trazione franco-americana ha premiato in termini di utili (quasi 15 miliardi di euro per Exor nel primo semestre 2024), meno sul fronte dell’immagine di Elkann in Italia. Ma la Italian Tech Week mostra, una volta di più, i gangli di un business che si vuole pensare globale. E che Exor da tempo sta consolidando come tale assieme al suo Ceo. Il quale nel perimetro dell’azienda che fu dell’Avvocato Gianni Agnelli sviluppa Vento, e fuori consolida la strategia con Lingotto.
Una partita globale, dunque, in cui l’Italia è una parte, non il tutto, del business di Exor. C’è Ferrari, brand prima ancora che casa produttrice d’auto, che vale 90 miliardi di dollari, c’è Iveco che macina utili, non è ancora scomparsa Stellantis dal Paese. Tutto vero. Ma in prospettiva per Elkann dovrà esserci di più: dovranno esserci start-up, aziende tecnologiche, innovatori. Vento e Lingotto, parallelamente, dovranno diversificare il business della Real Casa e del suo attuale leader, anche grazie all’inserimento nella finanza internazionale: alla presidenza di Exor, si era ricordato su InsideOver, Elkann aveva indicato “l’indiano-americano Ajay Banga poi scelto da Joe Biden per guidare la Banca mondiale, per poi offrire la poltrona di presidente al connazionale Nitin Nohria”. In Lingotto “a guidare gli investimenti James Anderson, 63 anni, già tra gli “scopritori” società del calibro di Amazon, ByteDance e Tesla al momento della loro ascesa. Alla presidenza, invece, George Osborne, ex Cancelliere dello Scacchiere nei governi britannici di David Cameron dal 2010 al 2016”.
In quest’ottica appare ancora più palese la globalizzazione di Exor e degli obiettivi di Elkann che anni di graduale ridimensionamento del peso dell’Italia nel visibile business dell’automobile non avevano portato molti a comprendere. E forse anche per questa corsa accelerata verso il futuro, dagli esiti incerti per il retroterra tricolore di Exor, matura lo sciopero di Repubblica contro l’Italian Tech Week. La testata del gruppo Gedi, controllato da Exor, ricorda che la sua professionalità va difesa dopo che la redazione protesta per la richiesta di pubblicare interviste agli esponenti delle aziende che pagano per partecipare all’Itw. “La redazione non vende l’anima”, scrivono i giornalisti in sciopero, e non abbiamo motivo di dubitarne: come ricorda Il Fatto Quotidiano, è la quarta volta in meno di un anno che si arriva a tali levate di scudi. Elkann e il direttore Maurizio Molinari sono stati accusati a inizio anno di voler “smantellare il gruppo” a inizio anno dopo la vendita delle testate locali di Gedi e, inoltre, a marzo “è stata la volta del caso Ghali, quando durante il Festival di Sanremo venne ritirata un secondo prima della stampa, direttamente dal direttore, l’intervista all’artista, reo di non aver citato il massacro del 7 ottobre mentre parlava di pace a Gaza. Infine la sfiducia, votata a larga maggioranza, nei confronti di Molinari, dopo che ad aprile mandò al macero nottetempo 100mila copie dell’inserto economico Affari&Finanza. Il motivo? L’articolo di apertura sui rapporti industriali tra Italia e Francia era risultato sgradito alla proprietà”. Ora, con la Itw, il casus belli è una mossa che tutti i gruppi editoriali conoscono: le proverbiali “marchette” a eventi che ogni giornalista si è trovato a dover scrivere, prima o poi, nel suo percorso professionale e che rappresentano l’altra faccia della medaglia dell’assenza di editori focalizzati solo nel business di riferimento della stampa nel nostro Paese. La Itw palesa una strategia chiara di ridimensionamento del peso italiano, di cui paradossalmente proprio Torino, la città abbandonata da Exor sull’automotive, può essere una delle poche città vincitrici e che a Repubblica è stata vista come un potenziale punto di svolta sul futuro della testata. Sulla cui evoluzione molte indiscrezioni sono emerse, a partire dall’interessamento del gruppo Caltagirone per il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, che porrebbe numerosi dubbi sul futuro del giornale come quotidiano che parla alla borghesia progressista e liberaldemocratica. Certo, avremmo preferito uno sciopero del genere ai tempi delle crisi industriali di Stellantis che raramente trovavano spazio su Repubblica, ma si sa: ognuno si sceglie le proprie battaglie.