La matematica non è un'opinione, lo so bene anche se ho fatto il liceo artistico. Oggi parliamo di numeri, di conti che devono tornare, di cifre che vanno dall'attivo al passivo e di parecchi zeri che fanno sudare. Parliamo della Cracco Investimenti e della presentazione di un bilancio annuale che lascia l'amaro in bocca, è proprio il caso di dirlo. L'evento economico andato in scena pochi giorni fa Milano, ha destato scalpore e attivato parecchi rumors subito pronti a scagliare parole infuocate verso il noto chef vicentino, che dal 2018 è affittuario di uno degli spazi più costosi della Galleria Vittorio Emanuele II. Per Carlo Cracco qualcosa non sta andando per il verso giusto evidentemente e la stella che brilla sulla sua location, non sembra proteggerlo dal rosso del bilancio presentato dai soci della Felix srl, controllata proprio dalla Cracco Investimenti di cui Cracco è amministratore unico. La riunione prevedeva l'approvazione del bilancio 2022 chiuso con una perdita di 409 mila euro, di poco inferiore a quella di 524 mila euro del precedente esercizio, che è stata riportata a nuovo. I dati presentati- racconta Affari Italiani - sarebbero preoccupanti, il passivo accumulato in cinque anni di gestione è salito a oltre 4,6 milioni, a fronte di riserve per 4,8 milioni, tanto da far scendere il patrimonio netto a 246 mila euro.
Si parla di debiti per 7,3 milioni divisi quasi in parte equa tra fornitori e banche, in attesa di essere risarcite dal finanziamento iniziale di 6 milioni per l'apertura di cinque anni fa. Numeri da brividi anche per i profani in fatto di contabilità. Sta di fatto che ognuno di noi, agente del fisco o semplice curioso cittadino può, entrando sul sito del Registro delle Imprese, vedere con assoluta trasparenza i dati amministrativi e le cifre di qualsiasi società legalmente riconosciuta. A tal proposito, abbiamo raggiunto telefonicamente colui che di brividi se ne intende in fatto di ristorazione, una penna affilata del Corriere della Sera, il celebre critico gastronomico – mascherato - Valerio Massimo Visintin, che già tempo fa si era espresso a proposito dei costi spesso gravosi dei locali stellati dicendo che "sono tutti ristoranti economicamente insostenibili, consumano come una Ferrari, ma vanno come una 500. Perché esistono? C'è un sacco di gente che crede che quella sia la strada giusta per svoltare, infatti non capita raramente che chef stellati gettino la spugna." Vedi nomi come Renè Redzepi, che annunciò la chiusura del suo Noma a Copenhagen, considerato il miglior ristorante al mondo per ben tre anni consecutivi, per via dei costi non più sostenibili.
Ed è esattamente quello che ribadisce Visintin alla mia richiesta di un suo pensiero sulla delicata faccenda in Galleria: "Il punto è che la cosiddetta alta cucina non è un modello commerciale sostenibile: richiede risorse superiori agli incassi. E non c’entra la difficile contingenza economica che stiamo attraversando in questi mesi. È il frutto di una distorsione indotta dalla critica di settore, Michelin in testa". E continua affermando che "da anni abbiamo imposto parametri irragionevoli agli imprenditori del settore: disponibilità infinita di vini, lusso anacronistico, impiego smisurato di personale, l’idea che la miglior cucina sia quella più elaborata, complessa, concettuale. Con queste premesse, e salvo sporadiche eccezioni, sopravvivono soltanto i ristorantoni degli alberghi, che possono sobbarcarsi ingenti passivi per offrire un servizio al passo con le proprie ambizioni, e gli chef-azienda, che tamponano le falle con un corposo indotto: impegni televisivi, catering, sponsor più o meno dichiarati pubblicamente." Parole che fanno pensare e conti salati decisamente da pagare.