C’è forse qualcosa capace di far indignare gli italiani più della ricchezza (degli altri, s’intende)? Mentre ci pensiamo, mezza stampa italiana azzanna alla giugulare Jeff Bezos, il fondatore di Amazon e secondo uomo più ricco del mondo, che ha scelto Venezia come luogo in cui celebrare i festeggiamenti del matrimonio con Lauren Sánchez, giornalista ed ex conduttrice televisiva. L’altra metà della stampa nazionale lo difende, attribuendogli il merito di aver scaricato sulla città lagunare valanghe di milioni – si parla di almeno 30 – che contribuirebbero a rimpolpare le casse cittadine. Daniele Luttazzi, dalle colonne del Fatto Quotidiano è intervenuto a cannone su uno dei matrimoni più chiacchierati dell’anno. Con il suo consueto sarcasmo, Luttazzi ha messo a nudo la distanza siderale tra la pompa magna mediatica e le sofferenze di un mondo lacerato da ingiustizie e sfruttamento. I fasti da “40 milioni di dollari”, con invitati vip del calibro di Oprah Winfrey, Leonardo DiCaprio e Beyoncé, non sono altro che l’ennesima sceneggiata di un miliardario che incarna il peggio del capitalismo globale. Bezos non suscita ammirazione, sostiene Luttazzi: “La capacità di far quattrini [...] non è da ammirare se non se ne fanno usi nobili”. E qui si apre una ferita dolorosa: il sostegno al “nativismo trumpiano”, i “rapporti con Israele (apartheid, pulizia etnica, stragi)”, il silenzio complice di chi vive nel lusso mentre “intere popolazioni soffrono”. La donazione di 3 milioni di euro a Venezia diventa, nelle sue parole, “una mancetta beffarda” di fronte a un guadagno orario di Bezos pari a 8 milioni di dollari. Il matrimonio, più che un momento privato, è un atto di “sfacciataggine esibizionistica”, un segnale ostentato di potere che “offende la morale” e disturba chi osserva la realtà delle ingiustizie con occhi lucidi.

Luttazzi non risparmia neanche quella che definisce una “mondiale trivialità pubblica” che trasforma la vita privata dei vip in “matrimoni pubblicitari”, volgari spettacoli costruiti per alimentare gossip e distrazione dalle emergenze reali come il genocidio a Gaza e le altre catastrofi mondiali. Luttazzi non risparmia nessuno: questi personaggi potrebbero tranquillamente “farlo senza divorzi né sposalizi”, ma scelgono invece l’”offesa alla morale” e il rumore mediatico, mostrandosi come archetipi di una «prepotenza» che marca il confine tra un’élite onnipotente e una “plebe stupefatta”. Questo, per lui, è un “osceno” desiderio di visibilità che va oltre la mera vanità, diventando un gesto di arroganza e insensibilità. Insomma, per Luttazzi le nozze di Bezos sarebbero la fotografia impietosa di un mondo che si crogiola nella ricchezza e nella celebrazione di sé mentre ignora il dolore altrui, tracciando una critica radicale alla distanza morale che separa i potenti dal resto dell’umanità. Ma se questo porta lauti proventi alla città, proprio come farebbe un grande evento come la Biennale o la Mostra del Cinema, è possibile ovviare al presunto degrado morale? Nonostante l’indignazione di Luttazzi, sembra che Venezia lo abbia fatto senza troppi patemi.