L’ex maresciallo dell’Arma, Francesco Marchetto, è stato a suo tempo (come noto) condannato per la bici di Alberto Stasi non repertata: falsa testimonianza e sviamento delle indagini fu il reato (per altro prescritto) contestato all’ex carabiniere (che ultimamente si sta togliendo non pochi sassolini dagli stivali d'ordinanza). Il colonnello Gennaro Cassese, ai tempi dell’omicidio di Chiara Poggi capitano a Vigevano, invece, se l’è cavata con l’ammissione di aver fatto qualche “cappellata”. Sì, è così che sono stati definiti gli allucinanti (ormai si può dire senza rischiare) errori degli inquirenti nelle prime ore e nei primi mesi delle indagini per l’omicidio di Chiara Poggi. Sciatteria e superficialità per alcuni. Supponenza per altri, visto che da subito l’attenzione di tutti si è focalizzata solo e esclusivamente su Alberto Stasi e s’è cercato solo ciò che potesse inchiodarlo. Malafede allo scopo di coprire qualcuno per altri ancora.
Di tutti quegli errori si parla ogni giorno, sulle pagine dei giornali e nei sempre più affollati salotti televisivi delle trasmissioni di approfondimento. Li conosciamo tutti, uno per uno, dalle mancate verifiche di alcuni alibi, al disastro combinato sulla scena del crimine, passando per il corpo di Chiara girato in una pozza di sangue facendo sparire due impronte sul pigiama e finendo con il pasticcio sulla famosa impronta 33, repertata male e resa inutilizzabile per ogni altro tipo di esame oltre quello fotografico. Ah, no, ci sono pure le quattro mutandine (mai analizzate a fondo) usate trovate in un sacchetto di cui non si conosce il resto del contenuto, una collanina in cuoio (si ha idea di quanto materiale resta sul cuoio?) scomparsa insieme a due cucchiaini che erano nel lavandino della cucina e persino un capello nero e lungo che si vede nelle foto del lavandino del bagno e che poi nessuno ha più trovato.
Solo che, anche se fa male dirlo, c’è pure altro. Per la precisione ci sono tre telefonate su cui nessuno ha mai voluto fare chiarezza e che forse ancora oggi potrebbero portare da qualche parte andando a scovare in qualche archivio. Eppure nessuno, ma nessuno davvero di tutti (troppi) quelli che parlano su giornali e tv del delitto di Chiara Poggi dice mai niente. Tre telefonate bollate come “irrilevanti”. Ma può esistere qualcosa di irrilevante che riguarda gli ultimi mesi di vita di una persona barbaramente assassinata? No, la risposta è no. E gli inquirenti, già nelle prime fasi delle indagini, di quelle telefonate si erano anche accorti. Le prime due risalgono all’inverno precedente la morte di Chiara Poggi, quindi ai primissimi mesi del 2007, e sono state fatte verso l’utenza fissa della casa dei Poggi da una utenza mobile risultata rubata a Potenza. Entrambe le chiamate erano state effettuate in orari in cui nessuno avrebbe potuto rispondere, visto che sia i genitori di Chiara, sia Chiara stessa, lavoravano. L’altra telefonata, invece, è ancora più inquietante. Perché è arrivata proprio sull’utenza mobile (quella nota) di Chiara Poggi e appena un paio di mesi prima del delitto. Anche a quella chiamata Chiara non rispose, come emerso dall’analisi dei tabulati e dagli accertamenti degli inquirenti. Accertamenti che portarono a scoprire anche che il telefono da cui era partita quella chiamata era tato rubato a Parma.
Sappiamo altro? No. Perché non lo hanno mai voluto sapere neanche gli inquirenti, visto che tutto ciò che è stato fatto relativamente a quelle tre chiamate s’è limitato a risalire ai proprietari delle due utenze, che però hanno semplicemente risposto (dimostrandolo anche) che non potevano più utilizzare quei numeri da tempo perché gli erano stati rubati (o clonati) nei mesi precedenti. Finita lì. Sarebbe bastato attenzionare quei due numeri, provare a ricostruirne attività e spostamenti, ma nessuno l’ha mai fatto. Magari – anzi sicuramente – si sarebbe scoperto qualcosa di assolutamente irrilevante e non si sarebbe arrivati al nome dell’assassino (o degli assassini?) di Chiara Poggi, ma sicuramente oggi ci sarebbe stata una “cappellata” in meno davanti a cui inorridire sovrastati dai dubbi.