Il delitto di Chiara Poggi, avvenuto il 13 agosto 2007 a Garlasco, ha già un responsabile riconosciuto dalla giustizia italiana: Alberto Stasi, condannato in via definitiva come autore dell’omicidio. Dopo 18 anni, però, ora c’è un altro indagato: Andrea Sempio. Stasi, l’ex fidanzato della vittima, ha già affrontato un lungo processo, culminato con una condanna definitiva nel 2015. La Corte di Cassazione ha confermato la sentenza emessa nel 2014 dalla Corte d’Appello bis. I suoi tentativi di revisione sono stati respinti. Di contro, Sempio è solamente oggetto di indagine nell’ambito di una nuova inchiesta che, per ora, non ha cancellato quanto stabilito a carico di Stasi. A legare i due nomi, più sul piano tecnico che sostanziale, è il reato ipotizzato: omicidio in concorso. Tuttavia, per magistrati e avvocati coinvolti, l’idea di una complicità tra i due appare priva di fondamento. La sensazione è che solo uno tra i due potrà essere indicato come autore del crimine. Fino ad allora, resta ferma la verità processuale sancita nel 2015. La condanna di Stasi si basa su dieci elementi chiave evidenziati nella sentenza d’appello, ritenuti dai giudici “gravi e precisi”. Secondo la ricostruzione della Corte, l’assassino era una persona nota alla vittima, tanto da essere da lei accolto in casa. A incastrare Stasi è anche la mancanza di un alibi credibile: le attività che ha affermato di aver svolto in quella mattina si collocano perfettamente nella finestra temporale del delitto. Inoltre, il racconto fornito durante la telefonata al 118 è stato considerato sospetto. I giudici lo hanno ritenuto più compatibile con la versione dell’autore dell’omicidio che non con quella di chi scopre casualmente il corpo. Altri elementi decisivi sono stati la bicicletta osservata nei pressi dell’abitazione di Chiara, compatibile con quella di Stasi, e l’assenza di tracce ematiche sulle sue scarpe e nell’auto, nonostante il sangue presente sulla scena del crimine. C’è poi la questione dei pedali sostituiti.

L’impronta digitale trovata sul dispenser del sapone, riconducibile al dito anulare destro di Stasi, e le impronte di scarpe numero 42 – stessa taglia che lui indossava – sono stati ulteriori tasselli del quadro accusatorio. Anche se il dna maschile rilevato sotto le unghie della vittima risultava troppo deteriorato e contaminato per identificare con certezza l’aggressore. Nel frattempo, la nuova pista investigativa seguita dalla Procura di Pavia si muove su coordinate diverse. Non è sufficiente, infatti, sostituire un nome per ottenere un racconto coerente con l’insieme delle prove già acquisite. Nel caso di Andrea Sempio, i punti al centro dell’attenzione degli inquirenti sono tre. Il primo riguarda una traccia di dna che, secondo i magistrati, apparterrebbe con certezza al 37enne. In secondo luogo, vi è una traccia papillare – la cosiddetta “impronta 33” – lasciata dal palmo di una mano destra sul muro della scala che porta alla cantina, nei pressi del corpo della giovane. Infine, si mette in discussione la validità dell’alibi di Sempio: i suoi movimenti di quella mattina non risultano confermati da fonti terze, al di là delle dichiarazioni dei genitori. Va ricordato che Sempio era già stato indagato e la sua posizione archiviata nel 2017. L’ex procuratore di Pavia, Mario Venditti, che aveva firmato l’archiviazione, ha ribadito – tramite il legale Domenico Aiello – l’inutilizzabilità scientifica del dna emerso, ritenendolo un dato inservibile. Ha inoltre specificato di non aver mai condotto indagini precedenti sul caso Garlasco. Il nome di Sempio è stato accostato ad altre vicende giudiziarie, come un’inchiesta sulla corruzione legata al filone “Clean” a Brescia. Tuttavia, la sua avvocata, Angela Taccia, ha smentito qualsiasi coinvolgimento e chiesto di evitare narrazioni diffamatorie, chiarendo che non esistono a oggi prove oggettive che lo colleghino a tali accuse.

