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Ecco perché sulla Rai la Schlein è in trappola. E Giuseppe Conte fa il Renzi di sinistra

  • di Alessio Mannino Alessio Mannino

12 maggio 2023

Ecco perché sulla Rai la Schlein è in trappola. E Giuseppe Conte fa il Renzi di sinistra
La prossima tappa nella partita di conquista della Rai da parte della destra meloniana è il voto nel cda sul nuovo amministratore delegato Roberto Sergio. Il consigliere in quota M5S potrebbe votare a favore, in cambio di programmi per giornalisti vicini al Movimento. La consigliera in quota Pd, invece, qualsiasi voto darà sarà una sconfitta per il partito. Conte si muove come un Renzi di sinistra, mentre la Schlein non tocca palla. E la sfida interna all’opposizione è tutta da giocare

di Alessio Mannino Alessio Mannino

Mai sottovalutare l’animale in apparenza soccombente. Con l’arrivo di Elly Schlein alla segreteria del Partito Democratico, le quotazioni sul mercato politico di Giuseppe Conte e del M5S erano in picchiata: ora che il partito numericamente più forte dell’opposizione si è spostato a sinistra, si riduce lo spazio di manovra per il Movimento, che poteva papparsi ghiotte percentuali di scontenti e delusi fuggiti nell’astensione e adesso gli viene molto meno facile. Così dicevano. E a ragione, almeno in questa fase. Ma le fasi in politica cambiano, e il loro succedersi viene preparato e favorito dalle mosse via via tattiche che, messe insieme, possono anche costituire una strategia. Non è dato percepire se Conte e il suo consigliori Rocco Casalino ne abbiano in mente una, ma sul piano della tattica, stanno sicuramente agendo nella maniera più arcipolitica che vi sia: occupare tutto l’occupabile, in termini di posti e, quindi, di potere e visibilità. La Rai è il banco di prova di questi giorni. I retroscenisti di tutti i lidi concordano nel dare per sicuro un appoggio del consigliere d’amministrazione in quota M5S, Alessandro di Majo, al nuovo amministratore delegato Roberto Sergio, lunedì 15 maggio in riunione del cda, con il seguente scambio: io voto l’uomo del centrodestra (che in realtà poi sarebbe Giampaolo Rossi, che Sergio nominerà direttore generale per spianargli la strada a succedergli l’anno prossimo), e in cambio si trova nei futuri palinsesti una casella per Giuseppe Carboni, ex direttore del Tg1, oggi senza incarichi, e una anche per Luisella Costamagna, magari una trasmissione tutta sua. Non piacerà, ma in viale Mazzini si fa così.

Roberto Sergio

I Cinque Stelle hanno imparato bene, in tutti questi anni di frequentazione del Palazzo. Non sono più gli ingenui idealisti, zainetto in spalla e apriscatole in mano, che si affacciavano alla politica “sangue e merda” pieni di stupore e rabbia anti-sistema. Nel “sistema”, mo’ ci sguazzano. E il relativo modus operandi, il sistemarsi anzitutto per sé (e Dio per tutti), lo hanno introiettato così bene che alcuni di loro, in veste privata e non più da militanti grillini, stanno ottenendo risultati notevolissimi. Solo due esempi basteranno. Riccardo Fraccaro, già ministro e poi sottosegretario nei governi Conte 1 e 2, il “padre” del superbonus edilizio, è diventato consulente dello studio di Giulio Tremonti (proprio lui, l’ex ministro berlusconiano e intellettuale di destra) sui crediti d’imposta acquistati dalle banche, cioè esattamente la materia del bonus. Manlio Di Stefano, anche lui ex sottosegretario (agli Esteri, ininterrottamente dal Conte 1 al Conte 2 a Draghi), trombato alle ultime elezioni avendo seguito Luigi Di Maio in quella lista di centro tragicamente finita nel nulla, secondo il Foglio e la Verità è pure lui consulente, niente po’ po’ di meno che della società aerospaziale statunitense Axiom. Non sarà un incarico con un suo risvolto politico di livello europeo, come quello dello stesso Di Maio nominato dall’Ue inviato nel Golfo Persico, però non è niente male, come sbocco lavorativo.

Carlo Fuortes
Carlo Fuortes

Tornando a bomba, è chiarissimo il disegno dei pentastellati, senz’altro a breve termine e quanto al futuro si vedrà, di giocare sui tavoli dove si portano a casa punti preziosi per restare nei giri che contano. E il Pd? Qui c’è un bel rovesciamento di ruoli. Il partito che dai tempi di Veltroni per giungere a Letta passando, naturalmente, per Renzi, ha sempre fatto del galleggiamento e dell’attracco al potere la sua ragione aziendale, adesso pare imbambolato, senza il polso della situazione. La Schlein compie l’ingrato e un po’ ipocrita lavoro di riesumazione di un’anima di sinistra, commettendo marchiani errori di comunicazione (che non sono solo di comunicazione, la forma è sostanza), come lo scivolone sull’armocromista, ma intanto, nella partita Rai, non tocca palla. A meno di non voler considerare chissà quale goal vedere l’ex ad Carlo Fuortes, vicino al Pd, giubilato al San Carlo di Napoli, estromettendo l’attuale sovrintendente Stephane Lissner. Francesca Bria, la consigliera in quota Pd, come voterà lunedì? Se vota a favore del nuovo ad Sergio, voluto dalla Meloni, diventa un tantinello difficoltoso sostenere di fare opposizione dura e pura alla lottizzazione della tv pubblica. Se vota contro, rischia di far perdere l’ultimo baluardo di sinistra, ovvero la Terza Rete, e in particolare il Tg3, l’unico ad aver garantito quel po’ di pluralismo in un oceanico 71% di piccolo schermo made in Rai militarizzato a destra. Il Pd, in altre parole, è in trappola. Insomma, la Schlein non deve guardarsi solo dai suoi rivali interni (Stefano Bonaccini è silente, ma vivo e vegeto), non deve guardarsi solo dagli ostacoli fisiologici e dalle gaffes altrettante fisiologiche (la “segretaria operaia” che non ha mai fatto l’operaia fa obiettivamente ridere), ma anche da un Giuseppe Conte che potrebbe rivelarsi un guastatore, una specie di Renzi posizionato a sinistra: più scaltro e insidioso di quel che si crede, e perciò più pericoloso di quel che si pensa.

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