C’erano una volta le first lady: la bellezza rarefatta di Jackie Kennedy, la vocazione attivista di Eleanor Roosevelt, o per guardare in casa nostra, la presenza discreta ma all’occorrenza cazzuta di Franca Ciampi, picconatrice della “tv deficiente”. Le bambine del Novecento le prendevano a modello, le guardavano da esempio. Poi è arrivato il vento woke, e le first lady sono diventate come le principesse Disney, povere cretine addormentate, per definizione sottomesse ai maschi – fatta eccezione, of course, per Santa Michelle Obama, cui il colore della pelle tutto perdona. A margine dell’affaire Meloni-Giambruno, occorre far notare che il giornalista Mediaset ha svolto, fino all’altro ieri, il ruolo di primo first gentleman della Repubblica Italiana, rivelandosi, dal primo momento, completamente inadatto alla posizione.
Saper rimanere sullo sfondo non è un disonore, un atto di ubbidienza al patriarcato cinico e baro: è un lavoro, tanto fondamentale quanto difficile. Fondamentale, perché serve a proteggere il coniuge da attacchi strumentali, che dalla sfera privata possono travalicare in quella pubblica; difficile, perché vedere il cerchio delle luci della ribalta lì, a pochi centimetri dalle tue spalle, e non poterci entrare, è affare contrario alla natura umana, basata, come sappiamo, sul primato della vanità.
Al netto di molte eccezioni, è vero che le donne non hanno ricoperto, in passato, le posizioni apicali destinate agli uomini; ma è vero anche che hanno saputo svolgere e interpretare nel migliore dei modi una professione – come si è visto – scivolosissima, intuendone la complessità e l’ambivalenza: abilità nel tessere relazioni, stabilità emotiva, farsi portavoce di valori civili e culturali attraverso lo sport, le fondazioni, il volontariato. Attività che oggi riconosciamo sotto l’appellativo di soft power, quell’abilità, come la definiva Joseph Nye, di avere successo in ambito politico e internazionale tramite l’uso di strumenti immateriali. Tutto il contrario delle dichiarazioni hard core di Giambruno, che dal primo momento non ha fatto altro che sbattere le ali come una falena alla finestra per guadagnarsi un posto al sole, per essere finalmente riconosciuto al ristorante, per sentirsi autorizzato ad appoggiare la propria mano tra i capelli della collega carina, forte di quella boria insopportabile tipica di chi diventa famoso senza aver fatto nulla per meritarselo.
Una professione, quella di first gentleman, che non sembra andare d’accordo con il testosterone italico: basti ricordare la mossa da scolaretto di Fedez all’ultimo Festival di Sanremo. Per paura che i riflettori puntati sulla moglie Chiara Ferragni potessero oscurarlo, non ha resistito a ficcare la lingua in bocca a Rosa Chemical, con il chiaro scopo di rubarle la scena sul palco più importante.
Invece di parlare di pesche e famiglia tradizionale, bisognerebbe allora sfruttare l’affaire Meloni-Giambruno come un’inedita opportunità per sottolineare il ruolo svolto dalle donne nei secoli: un ruolo defilato ma altrettanto cruciale come quello svolto dai loro compagni; e nello scarto con cui quello stesso ruolo è stato svolto da Giambruno cogliere il principio di “uguaglianza nella differenza” alla base del movimento femminista del secolo scorso.
“Being first lady is the hardest unpaid job in the world” scriveva nei suoi diari Pat Nixon, moglie del presidente colpevole del Watergate: ascoltando i fuori onda di Giambruno, come darle torno?