La Spagna ridotta sull’orlo di una crisi di nervi nello spazio di cinque secondi. Tanto, è bastato, secondo le comunicazioni rilasciate dall’autorità che gestisce la rete elettrica nazionale, a ridurre del 60 per cento l’energia che innerva qualunque attività, dagli uffici alle scuole, dagli ospedali alla viabilità fino, ovviamente, alle abitazioni private. Il blackout che lunedì 28 aprile, intorno alle 12:33, ha colpito tantissime città spagnole – su tutte Barcellona e Madrid, ma il “cortocircuito” in formato maxi ha interessato tutto il paese, dai Paesi Baschi all’Andalusia – è stato il più grave dal 2003, quando interesso anche l'Italia, colpendo milioni di persone. Un evento di proporzioni immense, che ha rischiato di assumere le sembianze di un vero e proprio disastro per il panico che si è scatenato. Un sentimento nutrito dalla totale assenza di spiegazioni sulla natura dell’avvenimento, che ha ovviamente lasciato spazio a qualunque interpretazione: dall’attacco informatico all’effetto del vento solare, fino al “raro fenomeno atmosferico” citato inizialmente dalla Red Eléctrica Española (Ree) e da quella del Portogallo, anch’esso colpito. La stessa Red Eléctrica ha però successivamente corretto il tiro, dando ragione a un’ipotesi che accreditata già nella tarda serata di lunedì. Nello specifico, il blackout sarebbe dovuto a “due eventi consecutivi di disconnessione” di impianti di generazione di energia elettrica. “Molto probabilmente impianti solari”, precisa l’azienda. Nel frattempo il governo spagnolo ha fatto sapere di aver ripristinato l’energia sul 99,99 per cento del territorio nazionale e, passata la tempesta, il rischio è che in Spagna e non solo si apra una polemica un po’ strumentale sulle energie rinnovabili in toto. Soprattutto perché la Spagna del primo ministro progressista Pedro Sánchez è uno degli ultimi baluardi in difesa del Green deal rimasti in Europa, dove politiche mirate hanno avviato la transizione energetica. Per alcuni osservatori, la pista delle rinnovabili è “scomoda”, proprio perché si cercherebbe di presentare questa fonte alternativa come perfetto sostituto di vie più tradizionali e impattanti come gas e idrocarburi: “Ree parla di oscillazioni nei flussi di potenza della rete – scrive La Verità – il che significa, in pratica, ammettere che una rete alimentata con quella percentuale di fonti rinnovabili in quel momento (le 12:33) non ha sufficiente inerzia per rispondere istantaneamente a carichi anomali”.

Un’opinione forse più misurata sulle ripercussioni di questa vicenda è stata quella fornita da Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia alla Stampa, quando ancora quella che riguardava le rinnovabili restava una delle possibili cause individuate: “La Spagna è da tempo sotto i riflettori proprio per la rivoluzione energetica in corso: sta puntando molto sulle energie rinnovabili, che sono per loro natura molto più instabili e difficili da gestire con le attuali infrastrutture”. Ma per Tabarelli il blackout spagnolo non dovrebbe portare a deduzioni superficiali ma, piuttosto, a trarre i giusti insegnamenti per rendere l’energia rinnovabile una fonte più sicura e meno instabile. Anche perché, in questo momento, l’Italia potrebbe permettersi di fare ricerca e sperimentare, dal momento che la nostra energia elettrica è meno suscettibile a simili incidenti – che restano, comunque rarissimi – poiché è prodotta per la maggior parte dal gas, che dopo lo stop alle forniture russe importiamo con costi elevatissimi, soprattutto quello liquefatto proveniente dagli Stati Uniti: “Unire le forze tra nazioni per migliorare la fornitura di energia dovrebbe servire proprio a evitare che un paese si ritrovi isolato. Certo, l’instabilità che deriva dalle rinnovabili è un fenomeno che tutta Europa studia ogni giorno. Demonizzarla però sarebbe sbagliato oltre che inutile”.
