La politica italiana corre verso le Europee tra grane e problematiche che, trasversali, riguardano tutti i partiti. A partire da quelli col vento in poppa. Pensiamo a Fratelli d’Italia, ormai dominus nella destra: Giorgia Meloni si presenta, sorridente e combattiva, nei manifesti elettorali proponendo di “cambiare l’Europa”. Si, ma come? Il voto all’Europarlamento dei partiti di governo sul nuovo Patto di Stabilità, con l’astensione che ha sconfessato la firma del Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti di dicembre, conferma che sarà difficile. E, inoltre, Meloni si trova di fronte alla prospettiva di una “fronda” interna: vuole cavalcare la centralità italiana in Europa ma si trova al governo con quel Matteo Salvini che sul cavallo di battaglia dell’euroscetticismo sta facendo la campagna per Strasburgo. Le Europee 2019 furono del resto l’apogeo per Salvini: sarà così anche per Meloni e Fdi? Con l’ottovolante della manovra da scrivere con il fardello da bonus sul deficit e il nuovo scrutinio europeo, il timore delle aspettative condiziona politiche e prese di posizione.
Chi si sta destreggiando e avvicinando con maggior serenità alla corsa del 9 giugno è Matteo Renzi
Non va meglio al campo progressista. Diviso e frammentato al suo interno. Si pensi alla querelle tra Carlo Calenda e Giuseppe Conte sull’Ucraina, allo psicodramma politico emerso dopo la vittoriosa campagna di Sardegna con le sconfitte alle Regionali in Abruzzo e Basilicata. E, soprattutto, con la tensione del Partito Democratico di Elly Schlein, che non sembra aver colto appieno a oltre un anno dall’elezione alla segreteria la complessità della formazione che guida. Il caos Bari, il cortocircuito tra Antonio Decaro e Michele Emiliano e la raffica di sconfitte elettorali sono il dito. La luna è il fatto che uno dei maggiori partiti progressisti d’Europa non ha un’idea di sé stesso. Partito ampio o partito della cordata dominante? Schlein ha provato a capire quanto la sinistra interna sia l’ala dominante provando a forzare sul suo nome sulla scheda, ma alla fine la legge della nomenklatura prevale. E da Giorgio Gori allo stesso Decaro, passando per Stefano Bonaccini, alle Europee dovrà contare sui “grandi vecchi” per difendere la linea del Piave del 20%.
Insomma, la sinistra teme l’avvicinamento al voto. La destra è inquieta sul post-voto, specie se Fdi, Lega e Forza Italia si trovassero scissi in Europa alla prova del cimento nella decisione delle cariche apicali d’Europa. In quest’ottica, tra i leader politici chi si sta destreggiando e avvicinando con maggior serenità alla corsa del 9 giugno è Matteo Renzi.
L’idea degli Stati Uniti d’Europa, incardinata nel partito Renew Europe guidato dal presidente francese Emmanuel Macron, può essere mobilitante
Il “senatore semplice” di Firenze non lascia, raddoppia: con la lista Stati Uniti d’Europa l’ex premier e leader di Italia Viva ha segnato, indubbiamente, un punto a suo favore. Per la seconda volta nei voti di valenza nazionale (le politiche 2022 prima, le Europee ora) Matteo da Rignano sull’Arno è riuscito in un gioco di prestigio non da poco. Ovvero mascherare la sostanziale inconsistenza di Italia Viva come formazione politica in un progetto più ampio e di respiro. In cui l’obiettivo di fondo di Renzi, che è e resta sempre l’ascesa di Matteo Renzi, viene annacquato dietro sfide più grandi. Nel 2022 era il “Terzo Polo”, che poi è stato chiamato così anche se arrivato quarto (contando centrodestra e centrosinistra uniti) o sesto (contando le singole liste). Oggi è l’asse con Più Europa e i Radicali, esteso al movimento dei Liberaldemocratici e al pensatoio Italia C’è, per un piano a dir poco ambizioso: con vista Europee l’idea degli Stati Uniti d’Europa, incardinata nel partito Renew Europe guidato dal presidente francese Emmanuel Macron, può essere mobilitante.
Si può dire che avere le idee chiare e il realismo come guida quando il proprio partito pesa meno del 3% e la propria lista attuale attorno al 5%, poco sopra la soglia di sbarramento delle Europee (4%), sia quantomeno un prerequisito. Ma ciò non è scontato. E in questa fase, mentre i campi progressista e conservatore guardano ai propri patemi, si conferma un’eccezione. Renzi sa far politica, non c’è che dire. Il 24 aprile 200 membri di Azione, il partito di Carlo Calenda già alleato a Iv nel Terzo Polo, hanno deciso di avviare uno smottamento verso Stati Uniti d’Europa lanciando il movimento Rinascimento Azionista. L’ex ministro dello Sviluppo Economico proprio del governo Renzi e già candidato a sindaco di Roma si batte con generosità su temi e dinamiche, ma sbaglia su un tema: quello di voler fare della coerenza con i principi portati avanti negli anni la bandiera, e non dell’applicazione dei principi in questione il tema di discussione.
Capolavoro di Renzi è riuscire a far passare la sua battaglia per la propria causa come una battaglia di sistema
Calenda è un manager d’azienda che si rapporta agli elettori come un dirigente agli azionisti, puntando tutto sull’accountability. Vede le questioni in bianco e nero: può sparare a zero su Giorgia Meloni un giorno su temi economici o etici e il giorno dopo incensarla per le posizioni sull’Ucraina o allearvisi in Basilicata. Renzi invece è toscano, figlio della terra di Machiavelli, sa che in politica a decidere la tonalità di un colore sono le sfumature. E le sfumature spesso dipendono da come un corpo o un sistema sono illuminati. L’opacità è dunque accettata non per mero tatticismo, ma per scelte situazioniste. Nel 2024 ad esempio si possono chiudere molti occhi sui dissapori passati con Più Europa: il brand creato da Emma Bonino serve bene la causa.
Capolavoro di Renzi è riuscire a far passare la sua battaglia per la propria causa come una battaglia di sistema. O forse, meglio ancora, a non dare soluzione di continuità tra i due campi. Il posizionamento dei libdem di Iv nelle liste trainate elettoralmente da Azione nel 2022 ha consentito di conservare alla Camera e al Senato il “Giglio Magico”, da Maria Elena Boschi in giù. Oggi, con le Europee alle porte, il vantaggio di Renzi è che, rispetto ad altri leader, sa dove vuole andare: in Europa, a una rinnovata centralità. Centristi perché centrali, e non viceversa, i partiti di Stati Uniti d’Europa ammiccano ora a sinistra ora a destra. Possono permettersi un “Si, ma…” a ogni questione: gli odiati Movimento Cinque Stelle e Giuseppe Conte hanno il quadruplo dei voti della lista liberaldemocratica? Si, ma non hanno un partito europeo. Il Partito Democratico rivendica l’europeismo a tutto campo? Si, ma l’interlocutore del leader europeista per eccellenza, Macron, è Renzi. La destra vuole cambiare l’Europa? Si, ma ricordatevi che servono i voti di Renew Europe.
Le Europee consentono di sperimentare soluzioni. E saranno anche un banco di prova per Renzi e il suo campo: il nome dell’ex premier è respingente anche se associato a un concetto tanto alto? Oppure la base di partenza è sufficiente? E soprattutto, gli elettorati di Italia Viva e Più Europa, che per le provenienze diverse sono complementari e non sovrapponibili, perderanno per strada molti voti nella fusione a caldo? Chi vincerà il derby con Azione in Renew Europe? Partite aperte e non secondarie. Ma di suo è già un dato di fatto importante constatare che Renzi sia qui a combatterle. Tra il 2021 e il 2022 Renzi si era totalmente immolato alla causa di Mario Draghi e del suo governo, rischiando di venir politicamente bruciato nel rogo politico che consumò l’esecutivo di unità nazionale nell’estate 2022. L’aver firmato una cambiale in bianco a Draghi lo aveva lasciato fuori dalle coalizioni, prima del colpo dell’alleanza con Calenda propiziata dagli errori di Enrico Letta nella costruzione del centrosinistra. Ora politicamente l’asse con i radicali e i patrioti europei consente a Renzi di giocarsi un’altra carta dopo la fine del Terzo Polo e, soprattutto, la fine della via maestra politica pensata nei mesi scorsi: la scalata al consenso di Forza Italia orfana di Silvio Berlusconi. La sorprendente vitalità dei figli politici del Cavaliere ha precluso questa via, e ora Renzi sceglie il go big or go home.
Dalla sua Renzi ha due punti a favore: sa dove vuole arrivare e sa con chi far squadra. Un dato di fatto fondamentale in politica è avere le idee chiare. In quest’ottica, aiuta molto l’avere alle spalle il progetto organico di un’Europa a alta autonomia strategica e maggiori ambizioni della presidenza francese. Che alle Europee si gioca molto. Macron sa che, comunque vadano le cose, Renew Europe sarà centrale. Renzi gli entra in scia. Nel progetto del capo di Stato che sogna un ombrello atomico e una difesa comune per l’Europa c’è spazio anche per chi chiede un ombrello per i mitologici “riformisti” italiani a lungo dispersi o costretti a subire l’egemonia politica del Pd. Di necessità virtù: per Renzi l’amicizia con Parigi val bene una messa. Da celebrare in forma silenziosa evitando accuratamente di parlare dei temi caldi per la contesa italo-francese, da Tim a Stellantis. O rumorosamente andando in scia a Macron contro Ursula von der Leyen e la sua Commissione. E magari, tirare la volata, per la Commissione o il Consiglio, allo stesso Draghi. Unico nome che, specie in quota Consiglio, consentirebbe a Renzi di rinunciare alla sua opzione preferita per succedere a Charles Michel: sé stesso. I giochi sono aperti, per l’Europa di domani. E Renzi, da conoscitore dei palazzi europei, è in partita. Pochi in Italia, a parte la premier Giorgia Meloni, possono dire di aver voce in capitolo sul futuro dell’Europa e dei suoi assetti. Certamente non Matteo Salvini né Elly Schlein. Questo di per sé è un risultato da segnalare. Piaccia o meno, è la politica.