“Quest’orto lo porta avanti un nostro amico che, ogni giorno, viene a trovarci e a controllare la crescita delle piantine, raccoglie frutti, porta dei dolci. Noi invece controlliamo che lui non si allarghi troppo con le piantagioni di frutta e verdura perché ha una certa età e si affatica. Infatti, proprio adesso che stiamo passeggiando mi accorgo che ha preso altra terra e fatto nuovi solchi…”. Sorride Fra’ Stefano, è lui che apre le porte del convento per accoglierci. Ha 39 anni, è studente e professo temporaneo dei Frati Minori Rinnovati, istituto di vita consacrata, di diritto diocesano, appartenente alla fraternità San Francesco di Napoli.

L’istituto è composto di soli sessanta membri, e la curiosità è che esiste anche un ramo femminile, le Sorelle Minori di San Francesco, che si trovano a Palermo, a Tusa (in provincia di Messina), in Colombia e in Inghilterra. Per quanto riguarda invece i Frati Minori Rinnovati, in Italia, sono tre le fraternità, a Corleone, Palermo e Napoli. In Colombia, quattro: Bogotà, El Retiro, Guática, La Cruz. E in Tanzania, una, a Pomerini. La Fraternità San Francesco di Napoli si trova proprio vicino al Bosco di Capodimonte, fra i quartieri di Miano e Scampia. Il convento è organizzato in quattro vagoni ferroviari abbandonati che praticamente sono composti da celle di clausura e poi da un prefabbricato in cui vi sono la cucina, il luogo di preghiera e la biblioteca. All’entrata della fraternità c’è un vagone che funziona da confessionale e luogo di ascolto. Tutto è in sintonia con le piante e gli alberi, anche i vagoni arrugginiti, che in estate si infiammano e inverno sono gelidi. Comunque, sempre invivibili.

Fra’ Stefano cammina e racconta, noi lo seguiamo. “Questa era l’officina di un frate che ci ha lasciato e che ha lavorato fino alla fine dei suoi giorni. Lui era vedovo. Dopo la morte della moglie ha deciso di entrare nella fraternità”. L’officina, la legnaia, il frutteto riempiono lo spazio rendendolo un’oasi silenziosa nel bel mezzo del caos di Napoli. Da dentro, magicamente, non si sente nulla, neppure l’impazzare dei clacson. Dopo una lunga passeggiata nell’area verde, si arriva al prefabbricato aperto a tutti. La tavola è apparecchiata, i frati portano il cibo donato dalle persone e lo distribuiscono fra i commensali. Fra’ Massimiliano Maria, guardiano e formatore, ripartisce le scorte alimentari arrivate e indica ai frati a chi consegnarle. Sono gli sfollati di Scampia, in questo momento, la priorità fra le varie emergenze. Perché c’è chi dorme ancora in macchina, chi ha trovato - fai da te - una casa, chi piange un familiare morto sotto ai crolli, e chi - la maggior parte - grida contro i sussidi: “Non vogliamo soldi, ma una casa degna e agibile”.

La giornata dei frati comincia all’una di notte con l’adorazione e l’ufficio delle letture. Poi, alle 6, ci sono tre momenti importanti: le lodi mattutine, 45 minuti di meditazione e la messa. Fino a mezzogiorno si svolgono i lavori comunitari e i servizi di confessione e apostolato vario.

“Qui, a Napoli, siamo in quattro. Fra’ Massimiliano Maria, Fra’ Carlo, il più adulto, che è il vicario, Fra’ Samuele, studente e professo temporaneo, e io. Dalle nostre famiglie torniamo una volta all’anno per una settimana. Mio padre, che era un pescatore, mi dice sempre che quando io ero bambino si è perso molto della mia crescita perché passava più mesi in mare che a casa. Adesso che è in pensione, sono io a non essere a casa”. Fra’ Stefano ha dei piatti caldi in mano, pronto per uscire a consegnarli. “Napoli è una città in cui la provvidenza non manca mai. Ogni giorno ci arrivano enormi quantità di cibo che distribuiamo a chi ne ha bisogno”, aggiunge.


Quando rientriamo al convento dopo la visita alle famiglie meno fortunate, Fra’ Stefano saluta una persona con tono amichevole e mentre ci avviciniamo alla porta di entrata dice: “Questa donna è arrivata in Italia un po’ di anni fa, lavorava in un ristorante con il marito, e molto spesso non riuscivano a mangiare tutti i giorni per la paga bassa che ricevevano. Oggi, lei e suo marito hanno un ristorantino srilankese e di frequente ci fanno arrivare del cibo per distribuirlo ai meno abbienti”. Bella storia! Straordinaria.

Il pranzo con i frati è accompagnato da momenti di scambio e preghiera. Nell’ora del silenzio si ritirano nelle proprie celle in uno dei vagoni di fronte al prefabbricato della cucina. Le piante di banano presidiano la clausura come sentinelle. Noi di Mow restiamo nello spazio e nel tempo dell’attesa, in cui nessuno bussa al convento perché sa che è quell’ora di tregua.

Alle cinque, dopo il silenzio e la meditazione in cappella, ricominciano le visite. Quando stiamo per raggiungere l’uscita accompagnati da Fra’ Stefano, la nostra guida per un giorno, c’è un uomo fermo davanti al vagone confessionale con il casco fra le mani e l’aria mite. “Quest’uomo viene ogni giorno, per pregare e farci visita. Oggi ha un nuovo lavoro e una nuova vita, ma ha sofferto tanto per la perdita della sua attività commerciale a causa dell’usura e poi perché dopo questa vicenda è stato lasciato dalla moglie”, mi dice il frate. L’immagine di quell’uomo ci ha accompagnato per tutto il viaggio di ritorno a casa. Perché incarna lo spirito della fraternità San Francesco di Napoli, luogo sicuro, di pace, di ristoro.


