Dal 7 ottobre Il Foglio ha sempre scritto in difesa di Israele, con una tenacia unica in Italia. Si è più volte confrontato e scontrato con Il Fatto quotidiano di Marco Travaglio, non solo sulla guerra in Medio Oriente ma anche su altri temi, come la giustizia (da un lato i garantisti, dall’altro i “manettari”, come sono stati ribattezzati). Nell’editoriale di giovedì 26 settembre, però, Giuliano Ferrara sceglie di rompere con le “buone maniere” che anche nei duelli si mantengono, è sbrana il direttore e il giornale, che accusa di essere “un piccolo organo della russificazione delle menti e dei cuori pulsanti della brutta gente che li circondano”, perserverando “nella loro funzione di riserva nera della stampa italiana”. Ora Il Fatto compie quindici anni e la firma storica del Foglio gli fa gli auguri così: “Il giornale di Travaglio, fascista di destra e corsivista dei giochi di parole, come ricordava Cossiga, compie quindici anni di diffamazioni, di calunnie, di oltraggi alla verità in nome della manipolazione quotidiana dei fatti e sa come suggellare i festeggiamenti del caso, con la nuova caccia all’ebreo per immagini. È importante che questo fogliaccio sia finanziato solo da chi lo legge e goda del suo spettacolare manto di propaganda, un finanziamento pubblico della canea e delle grottesche campagne politiche contro l’idea di stato che si fanno delinquenti e mafiosi e delatori e ladri veri sarebbe oltraggioso. Difatti se ne vantano, perché sanno quello che fanno”.
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Ferrara se la prende con l’odio antisraeliano del Fatto che, secondo il giornalista, ha superato il confine che separa la critica dall’antisemitismo: “La vignetta satirica è un recinto sacro, libertà e critica. Per dissacrarla con l’antisemitismo ci vogliono o l’ispirazione omicida degli anni Trenta tedeschi, conseguenze serie, oppure la stupidità di un giornale che celebra i suoi quindici anni di pura merda radunando tanta bella gente intorno al concetto di ebreo (ab)errante in didascalia a un Netanyahu con la kippah o all’idea che per essere più crudele Putin abbia bisogno di una sola cosa, la circoncisione [in riferimento alla vignetta di Natangelo uscita sul cartaceo di mercoledì 25 settembre, ndr]. Conseguenze risibili ma senza sorriso, basta il compiacimento eventuale di Moni Ovadia o di Gad Lerner, collaboratori illustri della feccia antigiudaica capace di immaginare simili bassezze”. Ferrara continua: “Il problema non è la feuille de choux ma la comunità che la sostiene, gli intellettuali che gli si concedono con facilità abietta di melassa, i politici che ammiccano pensando di essere risparmiati dalla sua aura diffamatoria, che è blasone per chiunque abbia rispetto di sé, il mondo incantato dell’opinione facile che si raccoglie intorno a quello spettacolino o avanspettacolino dei bassifondi della furbizia italiana. Aspirando a Longanesi ma realizzando una prosa che avrebbe fatto schifo anche a Gianna Preda, rimpianta diva del qualunquismo anni Cinquanta, altro che Barbara Spinelli”, altra stoccata a una firma di punta del Fatto.
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Per fortuna, continua Ferrara, è che “dopo un certo tempo continuino a contare nulla, siano e perseverino pienamente nella loro funzione di riserva nera della stampa italiana, di piccolo organo della russificazione delle menti e dei cuori pulsanti della brutta gente che li circonda, e naturalmente che sfoggino l’odio dal fiume al mare nelle cronache negli editoriali e nelle supreme vignette da Terzo Reich alla carbonara”. Di chi sono eredi i travagliani puri e i giornalisti del Fatto? Per Ferrara i loro antenati sono ben poco riconoscibili come difensori della libertà di stampa e di critica: “Non è scandaloso che profughi-bambini e in parte inconsapevoli del passato regime fascista, non delle sue poche glorie ma delle sue molte brutture, si accaniscano contro la democrazia e le sue regole, vestendo i panni dei censori della classe dirigente, dei partiti e dell’Italia sopravvissuta nonostante tutto alla crisi e scomparsa dei partiti, importante è che non smettano di mostrare il loro vero volto di aguzzini dell’intelligenza, della fantasia, del racconto almeno verosimile, della critica e della satira”.
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