Aldo dice 26 × 1, Aldo dice 26 × 1, Aldo dice 26 × 1…
Per chi non ne fosse a conoscenza, così il “messaggio speciale” in codice del CNL, il Comitato di Liberazione Nazionale, trasmesso dalla radio clandestine e riportato nel dispaccio che dà inizio all’insurrezione generale, alfa e omega della Resistenza, la lotta, appunto, di Liberazione dal nazi-fascismo. Aldo dice 26 × 1, Aldo dice 26 × 1… Accostato a molti altri comunicati non meno criptici trasmessi da Radio Bari, laggiù dal cosiddetto Regno del Sud: “Felice non è Felice”, “Giacomone bacia Maometto”, “È cessata la pioggia”, “Le scarpe mi stanno strette”, “Il pappagallo è rosso”…
Insieme alla voce impersonale, meccanica, che lo scandiva e il documento battuto a macchina per “l’applicazione del Piano E 27”, occorre immaginare le formazioni partigiane che scendono a valle, le città infine liberate. Su tutte, Milano e Torino. Un giovane combattente “garibaldino”, Mario Dondero, destinato a diventare tra i più straordinari fotografi del secolo trascorso, di quel giorno ricorderà il ragazzo in piedi su una pedana illuminata da un gran pavese di lampioncini colorati di carta che canta, era Walter Chiari, e cantava: “Solo me ne vo per la città…”.
Il fascismo conosce quel giorno il suo ultimo atto.
Per rispondere a chi dovesse in tutto ciò ravvisare retorica, polvere cerimoniale, magari ai suoi occhi luttuosa, “miserabile vendetta” dei “comunisti assassini” possano valere alcuni versi di Pier Paolo Pasolini del 1961, dolenti eppure segnati dalla piccola dinamo della Speranza: “Così giunsi ai giorni della Resistenza senza saperne nulla se non lo stile: fu stile tutta luce, memorabile coscienza di sole”.
Quanto a noi, che ancora adesso, ottant'anni dopo, rispondiamo alle ragioni morali e politiche del sentimento resistenziale, metteremo una bandiera rossa fuori dai balconi e dalle finestre, personalmente sarà un fazzoletto delle Formazioni “Giustizia e Libertà”, “Insorgere Risorgere”, il motto.
Trenta giorni appena e la data del 25 aprile 1945 compirà un anniversario tondo, assoluto, meteorite politica destinata a centrare le piazze, precipitando ai piedi di Giorgia Meloni, capo di governo che non ha mai pienamente riconosciuto l’antifascismo come valore essenziale, fondante la Repubblica democratica, restando semmai prossima all’immagine, al fantasma, ai suoi occhi invece eroici, del “cupio dissolvi” di Salò, presunto vero martirologio delle virtù nazionali contro i “traditori” e i “voltagabbana”.

Nell’antico, immobile, adagio qualunquista, bile e livore da capannello in galleria: “Tutti in Italia erano fascisti”, salvo poi, sempre ai loro occhi, meschinamente sputare sul cadavere di Mussolini, issato per i piedi, testa in giù, al distributore “Esso” di piazzale Loreto.
La Resistenza, sappiamo anche questo, non è mai stato un valore condiviso, la “zona grigia”, rimasta geneticamente prossima al sentire fascista, si mostra tuttavia adesso confortata, blandita, adottata dall'esistenza di Giorgia Meloni in posizione apicale a Palazzo Chigi. Dopo le parole di implicito dileggio riferite il “Manifesto di Ventotene”, dai suoi propagandisti indicato come un documento “leninista”, e ancor l'aver taciuto la corresponsabilità dei fascisti nella strage delle Fosse Ardeatine, il seguito del progressivo processo di delegittimazione dell’antifascismo avrà certamente luogo il prossimo 25 aprile. Tra silenzi e ambiguità pronunciate a mezza bocca, tra i “però” e un non meno irricevibile invito a ritenere eroicamente simmetriche le parti in causa nella guerra di Liberazione: i partigiani come i repubblichini.
Prevedibile da parte di chi, già militante del Fronte della gioventù, organizzazione del neofascista Msi, sosteneva che Mussolini sia stato il più straordinario uomo politico che l’Italia potesse vantare nella sua modernità.
Queste nostre parole d’occasione, è però bene precisarlo, non rispondono all’intenzione di costruire un altare “civile” alla Resistenza e ai suoi germi, servono semmai a segnalare il dispositivo mistificatorio che progressivamente, negli anni, è stato disposto nella discussione pubblica dalla destra già neo-fascista, il suo proposito di depotenziare, attraverso l’antracite di un’ambiguità interessata, somministrata a dosi omeopatiche, la possibilità stessa che si pensi all’antifascismo come sostanza vile, eticamente deprecabile, ossia il proposito di una parificazione tra fascismo e i suoi opposti, per l’appunto resistenziali.
Impresa che ha buon gioco in presenza di un analfabetismo storico pressoché di massa. Se l’antifascismo e la cultura resistenziale pretendono un’assunzione di responsabilità etica, una riflessione sulla storia e il suo portato criminogeno - sempre Pasolini sosteneva infatti che il fascismo altro non sia stato che “una banda di criminali al potere” – chi si oppone a questa lettura sembra fare appello a un codice genetico appreso in famiglia, endemicamente diffuso nel Paese, quasi che discostarsi da esso, il fascismo appunto, significhi infrangere la memoria dei padri e, assodato il tempo trascorso, ancora di più dei nonni, gli stessi che ottusamente indossarono la camicia nera d’orbace, poco importa se con i galloni di semplice “capofabbricato”, dunque possibile delatore dell’Ovra nei giorni della cospirazione e delle leggi razziali, o semmai da “centurione” o ancor di più “seniore” o addirittura “console” della cosiddetta Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale.
Poco importa che i “Moschettieri del Duce”, ritenuti la fidata “guardia d’onore” di Mussolini svanirono come neve al sole quando, appunto, per citare Pietro Secchia e Cino Moscatelli, figure significative della storia resistenziale, “il Monte Rosa è sceso a valle”.

Pessimisticamente, ripeto, ogni momento memoriale della Liberazione, la “festa grande d’Aprile” dei canti partigiani, non può pretendere retorica, posto che in un ideale spareggio tra i versi di Piero Calamandrei, “Lo avrai camerata Kesselring il monumento che pretendi da noi italiani ma con che pietra si costruirà a deciderlo tocca a noi. Su queste strade se vorrai tornare ai nostri posti ci ritroverai morti e vivi collo stesso impegno popolo serrato intorno al monumento che si chiama ora e sempre Resistenza” e, metti, l’evocazione di Mussolini in forma di martirologio nero. Presunta ingratitudine verso la generosità di un regime immeritevole degli insulti ricevuti dopo la sua caduta, così all’“applausometro” della più beota subcultura qualunquista nazionale, tra populismo, invocazione identitaria e sovranista e perfino complottista, convinta perfino che l’Europa e la stessa Costituzione rispondano testualmente a una postura “radical chic”, che costituisce ampia parte del bottino di consenso elettorale e perfino morale di Giorgia Meloni e del suo partito, Fratelli d’Italia, e d’ogni altra destra regressiva diffusa, comunque riunita a fare scudo intorno al suo esecutivo, alla sua esistenza politica stessa.
Se non l’ho ancora detto, il 25 Aprile prossimo le bandiere rosse tornino a mostrarsi fuori dai nostri balconi. Chissà poi se sono riuscito davvero in queste mie parole a trattenere la retorica...
Aldo dice 26 X 1, Aldo dice 26 X 1, Aldo dice 26 X 1…
