Doveva essere la risposta inglese a Tesla, e invece il sogno di Britishvolt è finito dopo neanche quattro anni. L’azienda che avrebbe dovuto sfornare batterie agli ioni di litio inondando il mercato britannico partendo da Blyth, 37 mila anime nel nord est dell’Inghilterra, chiude la fabbrica più grande d’Europa di batterie per auto elettriche e licenzia 200 lavoratori. Un progetto ambizioso che aveva mostrato le prime crepe fin dal 2020, al secondo anno di nascita, quando l’ideatore Lars Carlstrom, l’aspirante Elon Musk svedese, dava le dimissioni dopo essere trapelata una passata condanna per evasione fiscale in Svezia.
Ma è sui conti che Britishvolt, un’idea sulla carta da 3,8 miliardi di euro e 3 mila lavoratori a regime, ha fatto fiasco. Già agli inizi, del 2019, partiva azzoppato con quasi 2,5 miliardi di dollari di esposizione debitoria, fra l’altro con il governo di Londra (che aveva messo sul piatto 113 milioni di euro). Operazione troppo rischiosa, specialmente per il Regno Unito, in cui a dominare sono i progetti di gigafactory delle grandi case automobilistiche e, ormai onnipresenti, i cinesi.
Oggi la situazione della mancata “Tesla inglese” vede molto vicino il fallimento. Lo scorso agosto la società è entrata in amministrazione controllata, solo dopo 9 mesi dal taglio del nastro della sua “gigafactory”, nella contea di Northumberland. I profitti non sono arrivati, nonostante al posto di Carlstrom siano nel frattempo subentrati altri amministratori. Ciò che resta del tentativo made in England è in Italia, dove il redivivo Carlstrom vuole ripeterlo a Scarmagno, nell’eporediese, per ora allo stato di annunci di collaborazione. L’ex ad ha dichiarato di avviare i cantieri questa primavera per aprire i battenti nel 2025.