Cambiare il volto di un pezzo pop – rispondendo al montante sdegno di qualche comunità o, più pragmaticamente, di qualche broadcaster – non è affare nuovo. Fra gli altri ci sono passati in mezzo i Kinks di Lola, Eminem e, più recentemente, Lizzo (Grrrls). Tanti casi, un’unica trama: a qualcuno un verso o una parola vanno giù storto, il brano rischia di “girare” meno e così l’artista, per salvare il pezzo e spegnere la polemica, corregge il tiro. Siamo al passo prima della censura, che invece è qualcosa contro cui l’artista, in genere, può fare poco. Ma questo è tutt’altro discorso, una questione che ci allontanerebbe troppo dal punto essenziale. Senza che nessuno, dall’alto, lo pretendesse, Fiorella Mannoia, qualche giorno fa, cogliendo l’occasione di una data bolognese a fianco del pianista Danilo Rea, ha deciso, in un momento delicatissimo per i rapporti uomo-donna, di cambiare definitivamente il finale di Quello che le donne non dicono, uno dei suoi brani più celebri, scritto da Enrico Ruggeri e Luigi Schiavone. Ha dichiarato Mannoia: “È un brano a cui sono molto legata e che ho portato a Sanremo nel lontano 1987. Ma ho deciso di cambiare il finale perché era giusto: dicevo sempre “ti diremo ancora un altro sì”, ma non è mica vero. La cantavo e pensavo: “Non è mica detto, perché danno per scontato che dobbiamo dire un sì?”. Potrebbe essere un forse, o un no. E quando una donna dice no, con qualsiasi vestito, in qualsiasi circostanza e condizione, è no”. Se è stato cambiato il Padre nostro – da “non ci indurre in tentazione” a “non abbandonarci alla tentazione” – si può benissimo emendare un brano pop, ma la questione del Padre nostro riguardava una migliore traduzione/interpretazione del testo originale, mentre con Mannoia il discorso pare quello di “correggere un verso perché considerato non più attuale o culturalmente spendibile”. Nulla di male, ma qualche osservazione in merito si può fare. Innanzitutto il brano si intitola Quello che le donne non dicono e allude a qualcosa di sommerso, di potenzialmente oltraggioso anche verso sé stesse. Quel “sì” finale che irritava Mannoia era un sì che sfidava la logica di un comportamento più maturo e consapevole. Forse anche più orgoglioso. Tuttavia indicava qualcosa di reale. Designava un atteggiamento positivo e coraggioso? Oppure negativo e arretrato? Da nascondere o di cui andare fiere? Qui il dibattito potrebbe essere potenzialmente infinito, con la donna “x” che afferma di aver iniziato un legame duraturo e soddisfacente proprio in virtù di quell’apparentemente illogico “sì” finale e una donna “y” che invece rimpiange di essersi rifugiata in quel debole “sì” non rintracciando in sé la forza per affermare il contrario. Tutto giusto, tutto accettabile, ma nulla toglie a quel “sì” finale un carattere di verità – certo, anche figlio dell’epoca in cui è stato scritto – che probabilmente andrebbe tutelato.
E qui si apre una seconda questione. Siamo certi che correggere un testo renda un buon servizio alla nostra storia? Se tuttora ci risulta agevole “riscoprire chi eravamo”, dobbiamo ringraziare la rapidità con cui accediamo a testi, canzoni e film in grado di raccontarci. Perché correggerli? Sarebbe spiacevole se qualcuno correggesse il comportamento autoritario e maschilista del Sassaroli (Adolfo Celi) in Amici miei perché quella sua visione patriarcale (quella sì che lo era per davvero) delle relazioni famigliari è la stessa che nel film innesca il processo di esasperazione (stimolandone poi il desiderio di emancipazione) del personaggio di Donatella (Olga Karlatos), la moglie del professor Sassaroli. Senza la prepotenza di Sassaroli, Mario Monicelli non sarebbe stato in grado di iniettare in Donatella il germe della sacrosanta rivolta. Alla correzione di quel “sì” finale sarebbe quindi preferibile, in ottica femminile, un sequel – o qualcosa di simile – in cui Mannoia tira le somme di quel “sì” così verosimile – ma non per forza eternamente vero – allora pronunciato. Affinché non ci si debba di nuovo schierare (testo sessista o no?), ma si possa capire meglio. Quei “sì” – sentimentalmente e umanamente – hanno pagato o hanno lasciato l’amaro in bocca a chi li ha pronunciati? La risposta potrebbe di nuovo arrivare dalla coppia Ruggeri/Schiavone, ma non è detto che sia Mannoia a scegliere il destino di una nuova canzone che avrebbe il sapore dell’aggiornamento.